Il mio primo giorno di scuola giapponese
Cecilia
Da Como in Giappone per un anno
Eccomi qui, ancora mezza destabilizzata dopo la giornata di oggi ma con tante cose da raccontare. Si, oggi è stato un giorno importante, quel giorno che le mamme di tutto il mondo immortalano con le classiche duecentoventidue fotografie rigorosamente con il figlioletto in primo piano e il parentato, in tutte le sue pose suggestive, in bella mostra sullo sfondo. Oggi è stato il mio primo giorno di scuola.
Diciamo che dopo le scuole elementali, i miei primi giorni di scuola sono stati alquanto tranquilli. Niente nervosismo, niente particolari novità, stessi amici, stesso paese... Oggi, 1 settembre 2016, non è stato un semplice primo giorno di scuola, ma è stato IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA.
E’ stato come rivivere quella foto scattata undici anni fa davanti alla porta di casa, in cui agghindata che neanche una bomboniera con tanto di confetti, con il mio grembiulino bianco e nero e uno scafandro di cartella, cercavo di scacciare tutta l’agitazione di quel primo giorno di scuola guardando fisso nell’obiettivo con sguardo atterrito.
E’ stato come rivivere quella foto scattata undici anni fa davanti alla porta di casa, in cui agghindata che neanche una bomboniera con tanto di confetti, con il mio grembiulino bianco e nero e uno scafandro di cartella, cercavo di scacciare tutta l’agitazione di quel primo giorno di scuola guardando fisso nell’obiettivo con sguardo atterrito.
Ecco, oggi è proprio così che mi sono sentita, come quella mattina di undici anni fa quando ancora nulla era stato costruito, quando nessuno ancora mi conosceva, nessuno mi aspettava. Nessun pregiudizio, nessun ruolo da ricoprire, proprio niente di niente, solo l’ignoto di una realtà che non avevo ancora vissuto.
Immaginatevi una ragazza, bionda, occhi grandi, da occidentale insomma, pelle chiara, in mezzo ad un’orda di asiatici dalle testoline nere.
Immaginatevi una ragazza completamente a disagio in un’uniforme con tanto di fiocchettino, calzettoni della nonna e gonna a balze che mai nella propria vita avrebbe pensato di dover indossare e con un bagaglio linguistico di giapponese che non si spinge oltre a frasi fatte dalla dubbia utilità del tipo “la penna è sul tavolo e il gatto è sotto la cassapanca”. Ecco, immaginatevi questa ragazza in una scuola giapponese di 1200 alunni circa, tutti tremendamente giapponesi che parlano tutti tremendamente giapponese e che con l’inglese, beh, diciamo che l’aggettivo tremendo mi sembra appropriato anche in questo caso.
Immaginatevi una ragazza completamente a disagio in un’uniforme con tanto di fiocchettino, calzettoni della nonna e gonna a balze che mai nella propria vita avrebbe pensato di dover indossare e con un bagaglio linguistico di giapponese che non si spinge oltre a frasi fatte dalla dubbia utilità del tipo “la penna è sul tavolo e il gatto è sotto la cassapanca”. Ecco, immaginatevi questa ragazza in una scuola giapponese di 1200 alunni circa, tutti tremendamente giapponesi che parlano tutti tremendamente giapponese e che con l’inglese, beh, diciamo che l’aggettivo tremendo mi sembra appropriato anche in questo caso.
Amici, oggi ho vissuto il primo giorno di scuola per la seconda volta. Oggi ho avuto l’occasione di ricostruire tutto da capo, di rimettere, come undici anni fa, il primo mattone, di quella che sarebbe stata la mia identità, la mia vita nipponica, a 10.000 km da casa.
Essendo il primo giorno di attività dopo le vacanze estive, non ci sono state né lezioni né interrogazioni ma solamente la tradizionale cerimonia di apertura in cui tutta la scuola viene riunita per un saluto generale, per la consegna di borse di studio e la presentazione di nuovi studenti.
Prima di arrivare alla dettagliata narrazione di quello che è stato il mio primo impatto con la Seinan Gakuin High School di Fukuoka premetto che per arrivarci bisogna penare e non poco: forse avrete già avuto occasione di interagire con il Paese del Sol Levante e di capire benissimo che i giapponesi hanno un completo rigetto nei confronti di tutte quelle lingue che non sono il giapponese e che quindi, molto spesso, la comunicazione risulta abbastanza complessa.
Come potrete immaginare anche i bus e i mezzi di trasporto, essendo guidati da giapponesi, utilizzati da giapponesi e presumibilmente costruiti da giapponesi, sono dotati solamente di indicazioni in giapponese.
Prima di arrivare alla dettagliata narrazione di quello che è stato il mio primo impatto con la Seinan Gakuin High School di Fukuoka premetto che per arrivarci bisogna penare e non poco: forse avrete già avuto occasione di interagire con il Paese del Sol Levante e di capire benissimo che i giapponesi hanno un completo rigetto nei confronti di tutte quelle lingue che non sono il giapponese e che quindi, molto spesso, la comunicazione risulta abbastanza complessa.
Come potrete immaginare anche i bus e i mezzi di trasporto, essendo guidati da giapponesi, utilizzati da giapponesi e presumibilmente costruiti da giapponesi, sono dotati solamente di indicazioni in giapponese.
Questo significa che se tu, povero analfabeta occidentale, vuoi muoverti con i mezzi pubblici, sarai inevitabilmente costretto a vagare un po’ qua un po’ la munito di smartphone con google traduttore sempre acceso, intento a fotografare i cartelli con gli orari dei bus cercando in qualche modo di decifrare i venticinquemila kanji ben stampati sulla carta plastificata. Fortunatamente, avevo deciso di partire da casa un paio d’ore prima, per precauzione. E diciamolo, è stata una delle scelte migliori che abbia mai fatto!
Prima impressione? Ecco, non ho proprio fatto in tempo a farmela!
In Giappone, la reazione che gli occidentali provocano nella comunità è più o meno paragonabile a quella che potrebbe scatenarsi dal connubio esplosivo Justin Bieber in una stanza di dodicenni. Quindi se non siete asiatici e decidete di andare a farvi una passeggiata per le strade nipponiche, sappiate che sarete osservati costantemente e che prima o poi qualche impavido passante si fermerà per chiedervi una selfie.
Ecco, questo fenomeno di adulazione dell’occhio circolare, sembra crescere esponenzialmente all’interno delle mura scolastiche. Quindi diciamo che non è che proprio ho messo piede nella scuola, più che altro sono stata travolta da un’ondata di gridolini acuti.
Ecco, questo fenomeno di adulazione dell’occhio circolare, sembra crescere esponenzialmente all’interno delle mura scolastiche. Quindi diciamo che non è che proprio ho messo piede nella scuola, più che altro sono stata travolta da un’ondata di gridolini acuti.
Dopo questo primo ingresso degno di una celebrità, sono stata catapultata nella mia classe, la 2F. A questo punto, per elaborare la situazione e rendermi conto di dove fossi finita, ho avuto anche fin troppo tempo. C’è stato quel primo, lungo, interminabile momento di imbarazzo in cui io, sulla soglia, sorridevo forzatamente, aspettavo che qualcuno facesse la prima mossa, mi invitasse ad entrare o semplicemente muovesse un braccio, una mano, un dito, un capello…
Aspettavo, aspettavo e invece no, tutti lì, impietriti in pose monumentali ad osservarmi nel silenzio più assoluto, in fase contemplativa, neanche fossi stata un’apparizione divina.
Aspettavo, aspettavo e invece no, tutti lì, impietriti in pose monumentali ad osservarmi nel silenzio più assoluto, in fase contemplativa, neanche fossi stata un’apparizione divina.
E no, nessuno ha fatto la prima mossa e allora sono stata io, senza che nessuno mi avesse invitata a farlo, a mettere per la prima volta piede nella classe 2F. Sono finalmente stata accolta da una coraggiosa ragazza che con un inglese dall’accento alquanto bizzarro mi ha presentata al resto delle amiche, le quali, ancora mezze immobilizzate, si sono inchinate talmente tanto che con la punta del naso avrebbero potuto facilmente toccare la superficie smaltata dei mocassini.
Avrete notato, immagino, che ho parlato di “amiche”, quindi ragazze. Questo, non è un dettaglio trascurabile perché, effettivamente, i coraggiosi uomini della classe 2F o rimanevano incollati al banco, oppure emettevano gridolini e diversi suoni gutturali sbirciando di tanto in tanto nella mia direzione, ma di iniziare a parlare con la straniera, non ne avevano proprio alcuna intenzione...
In ogni caso dopo essermi fatta ripetere duecentoventi volte i nomi delle mie compagne di classe (che non sono ancora riuscita ad imparare) ho dovuto presentarmi davanti a tutti. Ho parlato in inglese ovviamente, il punto è che probabilmente, più della metà della classe non avrà capito una cippa del mio poetico discorso e tra questi non poteva mancare ovviamente anche il professore, Shiba Sensei, che è un tenerone ma di inglese ne sa quasi quanto mia nonna di informatica.
Detto questo, passiamo alla vera e propria cerimonia di apertura.
Parto dicendo che la Seinan High School è una scuola cristiana. Questo significa che ogni mattina tutti gli studenti vengono radunati nella palestra per una sorta di preghiera collettiva con tanto di libretto rilegato con tutto il repertorio di canzoni che già tu sei li mezzo addormentato…
Parto dicendo che la Seinan High School è una scuola cristiana. Questo significa che ogni mattina tutti gli studenti vengono radunati nella palestra per una sorta di preghiera collettiva con tanto di libretto rilegato con tutto il repertorio di canzoni che già tu sei li mezzo addormentato…
... poi loro, i 1200 alunni, tutti tremendamente uguali, omologati nelle loro divise bianche e grigie, hanno assunto immediatamente una nuova prospettiva dall’alto di quel palco:Non so come, non so quando, non so perché, io, Cecilia, nella mia più totale incoscienza sono salita su quel palco per presentarmi davanti a più di mille nipponici impietriti.
E poi è arrivato il momento del controllo delle divise.
Ebbene si, in Giappone si indossano le divise e non è che la cosa si ferma qui. Uno dice, già mi sforzo di indossare un fiocchettino al collo degno di un cucciolo in un pacco di Natale, e cosa succede?
Ebbene si, in Giappone si indossano le divise e non è che la cosa si ferma qui. Uno dice, già mi sforzo di indossare un fiocchettino al collo degno di un cucciolo in un pacco di Natale, e cosa succede?
Pretendono anche che la gonna non sia né sciupata né graffiata né accorciata né niente di niente, che il fiocchettino sia ben dritto e stretto al collo e si, esiste anche chi passa a controllare meticolosamente che qualche giapponese spinta non abbia impavidamente risvoltato la gonna mostrando il ginocchio, si sia fatta crescere l’unghia dell’alluce o stia trasgressivamente indossando un filo di lucida labbra.
Ora vi starete chiedendo se anche io, occidentale dagli occhi a palla, abbia superato indenne il controllo dell’uniforme…Beh no, non l’ho superato affatto.
Probabilmente tra tutte le cose proibite, io le fatte tutte, tutte il primo giorno. E così con i miei anellini d’oro alle orecchie, le mie ciglia annerite e unghie lunghe e curate, sono stata diligentemente accompagnata in un angolino della palestra per purificarmi da tutti i peccati che con tanta leggerezza stavo sfoggiando all’interno delle mura scolastiche.
Giusto giusto quando non era rimasta che la superficie rosea del mio viso, ecco il suono della campanella.
Giusto giusto quando non era rimasta che la superficie rosea del mio viso, ecco il suono della campanella.
Ecco che il mio primo giorno di scuola era passato, finito, trascorso, vissuto per la seconda volta.
Potrà sembrare strano perché effettivamente, questo primo settembre, questo primo pezzo del puzzle è stato forse il più faticoso da posizionare, ma non riesco a smettere di sorridere quando penso a quell’inchino improvviso, al viso contratto dei miei compagni immobilizzati tra i banchi.
Potrà sembrare strano perché effettivamente, questo primo settembre, questo primo pezzo del puzzle è stato forse il più faticoso da posizionare, ma non riesco a smettere di sorridere quando penso a quell’inchino improvviso, al viso contratto dei miei compagni immobilizzati tra i banchi.
Il primo passo è stato fatto, adesso non mi resta che vivere il resto del mio anno continuando la scalata con la stessa determinazione che mi ha permesso di non catapultarmi dalla finestra quella mattina durante la messa, di non scappare a gambe levate una volta arrivata sulla soglia dell’aula, di tenere la bocca chiusa quando ogni residuo delle mie unghie, lentamente, cadeva a terra.
E’ stata dura, è dura, ma ne è valsa la pena e ne varrà SEMPRE la pena.
Cecilia
Da Como in Giappone per un anno