L'Oriente non è poi così lontano

Eria

Volontaria del centro locale di Reggio Emilia

Eria, volontaria del Centro locale di Reggio Emilia, è stata una delle prime partecipanti ai programmi di Intercultura e oggi è un'importante figura di riferimento per gli studenti stranieri ospitati nella sua zona, soprattutto se di origine asiatica.

Prima di tutto un po’ di contestualizzazione: da dove nasce il tuo interesse verso gli studenti asiatici?

La mia "competenza" in materia di orientali deriva dal fatto che ho sempre amato questo mondo così diverso, rendendomi conto, col passare del tempo, che "più ne sai e meno ne sai"... Ho letto moltissimo e viaggiato in questi mondi. E in ambito di Centro locale, ho fatto l'assistente-mamma-confidente di molti di loro (con cui sono ancora in contatto) nonché l' "amica parafulmine" delle famiglie ospitanti. Tutto qui.

In questi anni ho imparato – e non ci vuole molto – che nessun ragazzo è uguale, ma che allo stesso tempo ci sono parametri ripetitivi e stereotipi che poi rivelano un certo fondamento e sono esplicativi di alcuni comportamenti.
In questi anni ho imparato – e non ci vuole molto – che nessun ragazzo è uguale

Quanto pensi che possa arricchirci interiormente il confrontarci con una cultura per certi versi molto lontana dalla nostra come quella giapponese o cinese?

Io credo che avere familiarità con una cultura così diversa (conoscere è un termine po’ troppo ambizioso…) sia molto importante. Il punto però è che, purtroppo, tranne qualche rara eccezione, per quanto tu spieghi/orienti, malgrado l’interesse e la curiosità prima dell’esperienza, durante l’ospitalità le famiglie ospitanti mancano sovente della capacità, della voglia di “entrare” in questa cultura. Hanno capito al momento dell’orientamento, sono assolutamente pieni di buona volontà ma, più tardi, nella realtà dei fatti, a volte prevale la loro abitudine educativa sperimentata con i figli ed i loro amici; si perde la pazienza (molto comprensibile) e si vorrebbero risultati immediati. Occorre tenere presente che gli studenti stranieri orientali NON sanno organizzare il loro tempo, è difficile che prendano iniziative autonome: stare ore sul divano non significa che siano pigri.
Cercare di “capire” non significa mettersi a fare domande specifiche: basta anche solo osservare, individuare una sensibilità che è certamente diversa dalla nostra Altro esempio: quando i genitori ospitanti italiani dicono “sta sempre sul divano”, non tengono conto del fatto che in Cina o in Giappone la giornata dei ragazzi è programmata “al millimetro”, assolutamente senza tempi vuoti. Quando li hanno in casa si irritano perché gli studenti sentono la necessità – per non sbagliare – di stare loro molto sul collo, “sennò non fanno mai niente”. Quello che molti non sanno è che ospitare uno studente asiatico ti dà soddisfazioni impagabili. La fatica iniziale (da entrambe le parti) è paragonabile solo alla soddisfazione finale!
In Cina o in Giappone la giornata dei ragazzi è programmata “al millimetro”, assolutamente senza tempi vuoti

Come si gestiscono al meglio le differenze scolastiche? Come reagiscono gli studenti di fronte a uno sistema scolastico apparentemente meno impegnativo rispetto a quello asiatico?

Tema dolente è spesso la scuola: “ma come, a casa era bravissimo e studiava moltissimo! Qui non fa nulla!” Già, ma nei loro Paesi nessuno chiede loro di essere creativi; la lezione in classi numerosissime è spesso solo frontale, si caricano i ragazzi di compiti che occupano tutto il resto della giornata, la competitività è esasperata (una cinese super mi ha detto: “ma sai, noi siamo tanti e se vogliamo arrivare da qualche parte DOBBIAMO emergere!").

Con confronti quotidiani è importante fare capire loro lo spirito delle nostre scuole superiori… occorre -se è possibile- coinvolgere in MODO ATTIVO la scuola italiana (a seconda delle materie ci sono mille metodi che che si possono applicare). Spesso a scuola l’orientale viene percepito come un grande peso, lo si ignora (tanto non capisce…) e non si coglie la grande opportunità di arricchimento culturale che uno studente cinese o giapponese possono portare. Non si stravolge il programma se ogni tanto lo studente parla alla classe, spiega con parole semplici che cosa è la Festa della Primavera, se scrive una ricetta, se mostra foto di capolavori d’arte, se scrive nella sua lingua un piccolo poema , lo legge e poi lo traduce… Potrei andare avanti all’infinito! E’ di moda mangiare il sushi ma nessuno sa cos’è!
Spesso a scuola l’orientale viene ignorato e non si coglie la grande opportunità di arricchimento culturale che uno studente cinese o giapponese possono portare

Altro punto importante: sconvolgimento davanti ad assemblee, scioperi, autogestione…

Lo studente non mostra interesse politico, c’è imbarazzo (specialmente per i cinesi) di fronte a domande di storia del ‘900; spesso manca la conoscenza!

Gli studenti cinesi e giapponesi hanno sicuramente delle connotazioni comuni: in primis, hanno delle difficoltà linguistiche. Quello linguistico è grosso ostacolo, è difficile trovare studenti asiatici che sappiano l’inglese (eccezion fatta per i ragazzi di Hong Kong). Quindi c’è un problema di comunicazione all’inizio, accentuato a mio avviso dal fatto che tutti presentano un grande orgoglio di natura culturale, per cui un asiatico difficilmente “fa vedere” che ha un problema.
Un asiatico difficilmente “fa vedere” che ha un problema, il che accentua i problemi di comunicazione iniziali A questo proposito vorrei raccontare un aneddoto: qualche anno fa, una ragazza giapponese – meravigliosa, apertissima – bazzicava a casa mia per le lezioni di italiano. Alla fine dell’anno organizzavo una riunione con tutti gli studenti, avevo preparato un foglio con una decina di domande sulla loro esperienza, più che altro per gioco. Una domanda recitava: “qual è la cosa più importante che hai imparato?”. La risposta della mia giapponese è stata: “ho imparato a dire di no”. C’è un antefatto: la ragazza era molto bella e per strada non passava mai inosservata. Mi ricordo che il papà italiano non le faceva fare un passo da sola e quindi lei era sempre “sotto controllo”. Una volta mi aveva detto: “io vorrei poter passeggiare da sola”. Risposi che potevamo dirlo insieme al papà. Quando ho parlato col genitore ospitante, la reazione era stata un po’ rigida. Avevo la mano dietro le spalle della ragazza in quel momento e, alla risposta del padre ospitante, ho sentito appena i suoi muscoli tendersi, non ha detto “nulla” e ha semplicemente continuato a ubbidire. Ecco, questo è un esempio tipico dello spirito di obbedienza dei giovani asiatici. Siamo agli antipodi. Sachi ha capito, si è adeguata, è tornata mille volte e adora questo papà italiano.
I genitori devono essere contenti di ospitare, forti della consapevolezza di essere di fronte a un mondo che può rivelarti molto

Quali sono le difficoltà più frequenti che hai affrontato con gli studenti asiatici che avete ospitato nel Centro locale? Che tattiche usate per affrontarle?

Forse il fatto che bisognava mandare loro dei “messaggi di amicizia”, in cui tu fai capire loro – che non immediatamente ti accettano, che ti vedono come qualcuno più “su” – che è vero che apprezzi il loro rispetto ma che, allo stesso tempo, deve nascere una fiducia reciproca.

Un anno abbiamo ospitato una studentessa di Hong Kong, una ragazza solare, però non è stato così semplice: sono andata a casa sua il giorno dopo il primo giorno di scuola. Interpellata, lei racconta scandalizzatissima che a scuola ha visto i compagni che fumavano in giardino e gli insegnanti che non dicevano nulla. Io ho cercato di spiegarle che erano in giardino e quindi non fisicamente all’interno dell’edificio scolastico. Nel suo Paese gli studenti sono tenuti a osservare un comportamento rispettoso dei docenti a scuola e fuori. Per lei era inconcepibile che l’insegnante avesse una “giurisdizione” limitata. Era sconvolta al punto tale che piangeva. Dopo si è integrata in modo eccezionale con tutti.
Agli studenti asiatici bisogna far capire che è vero che apprezzi il loro rispetto ma che, allo stesso tempo, deve nascere una fiducia reciproca

Quando ci si approccia a una cultura asiatica, noi occidentali non siamo mai adeguati, ma è tutto una scoperta, se sei pronto ad accoglierla. Nella mia esperienza con gli studenti asiatici, mano a mano mi sono adeguata alla persona e, durante l’ospitalità, cercavo soprattutto di lavorare sul ragazzo, cercando di intuire quello che stava succedendo, di prevenire l’eventuale problema. Quando mi rendevo conto che il fanciullo non avrebbe mai detto che sentiva nostalgia, perché era isolato linguisticamente, perché non ancora non integrato – cercavo di intervenire delicatamente.

I ragazzi cinesi e giapponesi sperimentano gerarchie rigide nei loro Paesi d’origine, poi maschi e femmine hanno comportamenti diversi perché i maschi cinesi in casa sono dei piccoli imperatori: infatti le famiglie che ospitano maschi hanno maggiori difficoltà. In definitiva, il segreto per affrontare positivamente l’ospitalità di un asiatico è andare tra le pieghe, affidarsi all’intuito.
I ragazzi cinesi e giapponesi sperimentano gerarchie rigide nei loro Paesi d’origine, che spiegano perché maschi e femmine hanno comportamenti diversi

Come possiamo nel 2016 preparare al meglio le famiglie che ospiteranno uno studente cinese o thailandese, in modo che abbiano delle aspettative più realistiche possibili?

Avrei molte cose da dire. Cercare di “capire” non significa mettersi a fare domande specifiche: basta anche solo osservare, individuare una sensibilità che è certamente diversa dalla nostra. È difficile per le famiglie ospitanti riuscire a non scadere, scontrandosi con la quotidianità, nel discorso “sono ragazzi e sono tutti uguali”, bisognerebbe avere delle “antenne”. Ma queste “antenne” si possono avere solo se si vuole dotarsene.

Fondamentale, come in ogni ospitalità ma qui ancora di più, è avere un grande senso dell’umorismo: la chiave per la smitizzazione dei problemi. Con piccoli gesti dimostrare affetto, (non smancerie); chiedere ed esigere aiuto in casa, altro modo per costruire ponti; pazienza è una magica parola per gli orientali, ma va esercitata da parte di tutti… La famiglia ospitante dovrebbe avere la pazienza di scoprire e non di insegnare; ammetto che sia molto difficile, ma scoprire apre le porte a mondi davvero nuovi!

Convivere quotidianamente con un asiatico aiuta a comprendere molto meglio i contrasti delle loro culture: se non vivi con qualcuno che ti schiude questi mondi, fai “vita da turista”

Abbiamo fatto un incontro di preparazione per le famiglie ospitanti qualche anno fa. Un futuro padre ospitante di una cinese era molto carico, “Noi non avremo proprio problemi – diceva – perché nel suo dossier c’è scritto che fa di tutto e di più”. La verità è che scrivono molto perché per loro è un modo di presentarsi bene, “fa punteggio”. Durante la sua esperienza in Italia, la ragazza era molto concentrata sul successo personale, a fare bene a scuola, però faceva fatica con la lingua e non è stato facile farla integrare.

Non ho la bacchettina magica per dire alle famiglie le cose giuste, ma occorre insistere sul fatto che quelle asiatiche sono culture molto diverse dalla nostra e quindi bisogna avere l’umiltà di cercare di capire e di sollecitare i ragazzi, fare domande, farsi spiegare, per dare loro importanza. I ragazzi si adeguano, l’importante è rompere la crosta di riservatezza che ci isola da loro. I genitori devono essere contenti di ospitare, forti della consapevolezza di essere di fronte a un mondo che può rivelarti molto.
I ragazzi si adeguano, l’importante è rompere la crosta di riservatezza che ci isola da loro

Secondo la tua esperienza, quali sono gli aspetti di un’ospitalità di un asiatico che danno più soddisfazione?

Ho avuto la fortuna di andare sia in Cina che in Giappone e ho capito il senso della loro ospitalità, paragonabile a quello siciliano o arabo. C’è poi un altro elemento da mettere in conto: la grande contraddizione tra la modernità a cui anelano e le loro radici, la loro grande tradizione culturale. Sarebbe bello capirne qualcosa di più. Ospitare un asiatico può aiutare in questo.

Secondo me ospitare uno studente asiatico ti porta a capire veramente, a scoprire delle cose che altrimenti non sarebbe possibile conoscere. Secondo me un’esperienza di ospitalità ben fatta ti dà di più di un bel viaggio, magari in un resort. Tu sei in un albergone, dove però fai vita da turista internazionale. Una persona che viene per un anno a casa tua – soprattutto se giovane e aperta al mondo – ti porta, ti spiega, ti aiuta e ti apre, ti mostra il vero.
Un’esperienza di ospitalità ben fatta ti può dare più di un bel viaggio

Sono andata a trovare Liu Liu – nostra ospite qualche anno fa – in Cina. All’arrivo, non ti dico l’accoglienza! Siamo andati a casa sua (il padre è una persona importante, è direttore dell’Opera di Pechino), arriviamo nel loro quartiere: una strada squallidissima, uomini seduti per terra a giocare a dadi, banchi di verdurai con quattro verdure appassite. Arriviamo al loro palazzo: un cortile interno scuro, biciclette appoggiate ovunque. Salgo al piano, si apre la porta dell’appartamento: un altro mondo! Una casa elegante, porcellane antiche, mobili di pregio, chi l’avrebbe mai detto? Questa è la Cina.

La mamma di Liu dice sempre: “quando è arrivata in Italia era come un bocciolo chiuso, è tornata un fiore sbocciato”. Convivere quotidianamente con un asiatico aiuta a comprendere molto meglio questi contrasti. Se non vivi con qualcuno che ti schiude questo mondo, alle prese con la loro cultura, fai “vita da turista”.

Eria

Volontaria del centro locale di Reggio Emilia

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