Una cultura basata sullo hygge
Arianna
Da Trento in Danimarca per un anno
Ovvero sulla capacità di gioire delle piccole cose, rendendo speciale ogni luogo e ogni momento. E quando sento nominare Intercultura mi emoziono ogni volta.
A distanza di tredici anni mi sembra ancora di poter sentire il sapore della carne al barbecue; la musica anni ’80 delle feste a scuola; il profumo speziato dei dolci natalizi, i tramonti invernali, rossi quasi fluo, e quelli estivi, arancioni e rosa; i panini caldi e fragranti a colazione... e la birra. La birra, rigorosamente fredda, che in Danimarca è cultura.
A diciassette anni ci si sente pronti a tutto, sono partita carica e fiduciosa. I miei giovani genitori ospitanti, Dorthe e Steen, avevano una bimba di soli dieci mesi dai capelli dorati, Emma, ora bellissima quattordicenne. Vivevano in una casetta a schiera col tetto a punta, nella cittadina di Horsens. A me, nata e cresciuta in montagna, non sembrava vero di poter vivere per un anno vicino al mare.
All’inizio pensavo che non avrei avuto troppe difficoltà ad ambientarmi, tutti erano molto gentili e con l’inglese me la cavavo abbastanza bene. A distruggere ogni mia certezza fu il primo giorno di scuola. Minuto dopo minuto, cresceva in me il dubbio di aver fatto una pazzia.
A diciassette anni ci si sente pronti a tutto, sono partita carica e fiduciosa. I miei giovani genitori ospitanti, Dorthe e Steen, avevano una bimba di soli dieci mesi dai capelli dorati, Emma, ora bellissima quattordicenne. Vivevano in una casetta a schiera col tetto a punta, nella cittadina di Horsens. A me, nata e cresciuta in montagna, non sembrava vero di poter vivere per un anno vicino al mare.
All’inizio pensavo che non avrei avuto troppe difficoltà ad ambientarmi, tutti erano molto gentili e con l’inglese me la cavavo abbastanza bene. A distruggere ogni mia certezza fu il primo giorno di scuola. Minuto dopo minuto, cresceva in me il dubbio di aver fatto una pazzia.
Il danese era una lingua totalmente incomprensibile e tutto funzionava al contrario di come ero stata abituata: la frutta andava in frigo, il burro assolutamente no, guai a soffiarsi il naso in classe (maleducazione). Non ne facevo una giusta. Non capivo quello che mi dicevano, non avevo amici, conoscevo a stento la mia nuova famiglia.
L’unica persona con cui, dal primo giorno, mi sono relazionata senza problemi, è stata la mia sorellina che, come me, doveva ancora imparare tutto.
L’unica persona con cui, dal primo giorno, mi sono relazionata senza problemi, è stata la mia sorellina che, come me, doveva ancora imparare tutto.
Tre mesi dopo qualcosa è scattato. All’improvviso, una magia: ho iniziato a pensare, sognare e, finalmente, a parlare in danese. Era una sensazione così strana, quasi non mi riconoscevo. Da allora, ogni giorno che passava, mi sentivo sempre più parte di quella cultura che finalmente iniziavo a capire e ad apprezzare.
Una cultura basata sullo “hygge”, ovvero sulla capacità di gioire delle piccole cose, rendendo speciale ogni luogo e ogni momento. Una cultura dove si preparano e condividono gustosissime torte senza bisogno di ricorrenze e dove si ringrazia per il tempo trascorso insieme. Quando ho iniziato a mangiare persino il Rugbrød (il pane nero tipico), mi sono sentita una danese a tutti gli effetti. Avevo imparato a moderare il tono della voce al telefono, tanto che mia mamma, in Italia, si preoccupava stessi male, per lo meno la mia famiglia danese non mi guardava più ad occhi sgranati.
Ero così felice da non voler più andare via. Con la mia famiglia si era instaurato un bellissimo rapporto ed ero circondata da amici splendidi. Persino i ragazzi danesi, riservati e timidi oltre ogni italiana definizione del termine, mi rivolgevano parola avventurandosi in garbate conversazioni. Un anno però passa in fretta e, proprio sul più bello, era già ora di rifare le valige.Il ritorno in Italia è stato traumatico. Quando parti sai che a casa ritroverai la vita di prima ma, quando torni, realizzi che l’anno appena vissuto non potrà mai più ripetersi.
Con tanta tristezza nel cuore ho salutato posti e persone che erano diventati il mio nuovo mondo. Gli amici, da quelli danesi agli AFSer come me, e la mia nuova famiglia, che mi aveva accolta come una figlia.
Per fortuna la Danimarca non è troppo lontana e i rapporti con le persone più care sono ancora fortissimi. Con Jacqui, la mia amica americana, ci siamo incontrate tante altre volte, in Italia, a New York e infine di nuovo in Danimarca, dove si è sposata. Con Tanja e Maria, le mie compagne di classe, siamo sempre in contatto.Il giorno del mio matrimonio, la mia famiglia danese era al mio fianco, e così anche le amiche più care del tempo. Da poco sono tornata in Danimarca insieme a mio marito e a mia figlia di un anno, per un viaggio di dieci giorni tra famiglia, vecchi amici e paesaggi sconfinati. E’ stato davvero emozionante.
Quando ho scelto la Danimarca per il mio anno all’estero, molti mi chiedevano cosa me ne sarei fatta di sapere il danese. Non avevo una risposta e non m’importava. Oggi però, mi rendo conto, di come la lingua danese sia stata il ponte per scoprire una cultura meravigliosa, che porterò per sempre dentro di me. Spero vivrà anche in mia figlia, alla quale cerco, ogni giorno, di trasmetterla nelle piccole cose.
Ero così felice da non voler più andare via. Con la mia famiglia si era instaurato un bellissimo rapporto ed ero circondata da amici splendidi. Persino i ragazzi danesi, riservati e timidi oltre ogni italiana definizione del termine, mi rivolgevano parola avventurandosi in garbate conversazioni. Un anno però passa in fretta e, proprio sul più bello, era già ora di rifare le valige.Il ritorno in Italia è stato traumatico. Quando parti sai che a casa ritroverai la vita di prima ma, quando torni, realizzi che l’anno appena vissuto non potrà mai più ripetersi.
Con tanta tristezza nel cuore ho salutato posti e persone che erano diventati il mio nuovo mondo. Gli amici, da quelli danesi agli AFSer come me, e la mia nuova famiglia, che mi aveva accolta come una figlia.
Per fortuna la Danimarca non è troppo lontana e i rapporti con le persone più care sono ancora fortissimi. Con Jacqui, la mia amica americana, ci siamo incontrate tante altre volte, in Italia, a New York e infine di nuovo in Danimarca, dove si è sposata. Con Tanja e Maria, le mie compagne di classe, siamo sempre in contatto.Il giorno del mio matrimonio, la mia famiglia danese era al mio fianco, e così anche le amiche più care del tempo. Da poco sono tornata in Danimarca insieme a mio marito e a mia figlia di un anno, per un viaggio di dieci giorni tra famiglia, vecchi amici e paesaggi sconfinati. E’ stato davvero emozionante.
Quando ho scelto la Danimarca per il mio anno all’estero, molti mi chiedevano cosa me ne sarei fatta di sapere il danese. Non avevo una risposta e non m’importava. Oggi però, mi rendo conto, di come la lingua danese sia stata il ponte per scoprire una cultura meravigliosa, che porterò per sempre dentro di me. Spero vivrà anche in mia figlia, alla quale cerco, ogni giorno, di trasmetterla nelle piccole cose.
Arianna
Da Trento in Danimarca per un anno