La mia estate molto "hygge"

Mattia

Da Giarre in Danimarca per un'estate

In questa intervista, Mattia ci racconta la sua estate danese vissuta in un contesto particolarmente internazionale.
D. Perché la Danimarca? Cosa ti ha spinto a sceglierla come destinazione?
R. La Danimarca è stata la mia prima scelta, ho parlato con alcuni dei miei compagni di esperienza e ho visto che non lo era per tutti. Nella scelta mi sono detto: questa è la prima volta che faccio questo tipo di esperienza, non allontaniamoci troppo. E poi ho sempre voluto visitare il Nord Europa e la Danimarca mi ha convinto subito. Anche per cambiare clima rispetto alla mia Sicilia.

D. Come ti sei trovato nella scuola ospitante? Com’era strutturata? Com’erano i rapporti umani?
R. Ero in un college a Ranum, in una struttura fantastica, moderna, accogliente, spaziosa. Dormivo in un dormitorio a forma di L con diverse camere e un punto di ritrovo comune. Nel quadrato in mezzo ai dormitori c’era un’area verde, addirittura con un mini campeggio. All’apice di un’ala del complesso c’era una sala cinema. La mattina facevi 300 metri a piedi per raggiungere l’edificio dove si tenevano le lezioni e attraversavi, campi di grano, ruscelli, un paesaggio meraviglioso. Poi arrivavi a questa struttura, con aule tutte molto attrezzate, disponibilità assoluta da parte dei docenti… certo che studiare in un contesto simile è molto più facile.
Dovendo dare un voto da 1 a 10 alla Ranum Efterskole darei 10. Insegnanti molto disponibili, che facevano interessare alla lezione: ad esempio, l’insegnamento dell’inglese avveniva tramite una “materia ponte”. In pratica studiavamo sociologia in inglese, molto stimolante, con un continuo confronto col docente. Con i compagni italiani abbiamo legato da subito, ovviamente, coi ragazzi conosciuti lì è stato un po’ più lento il processo, ma si è realizzata sempre un’integrazione piacevole. Parlavo molto con i 4-5 ragazzi stranieri che vedevo un po’ più spesso degli altri. Coi compagni di stanza – uno danese e uno pachistano, con cui ancora mi sento – mi sono trovato bene. La prima sera col ragazzo pachistano abbiamo passato un’ora intera a conoscerci, a ridere e a scherzare.

Con gli insegnanti più che un rapporto insegnante-alunno, c’era un clima di scambio, avevo anch’io come alunno qualcosa da dare all’insegnante, era un confronto, uno scambio alla pari, i discorsi a lezione comprendevano tutta la classe e ognuno dava il suo contributo e, a fine lezione, era richiesto di elaborare un pensiero che fosse la sintesi di quelli di tutto il gruppo. Gli insegnanti puntavano a farci parlare dal nostro punto di vista di studenti internazionali. Non poteva che risultarne un accrescimento collettivo.

D. Quale valore aggiunto ha portato la frequenza di un corso di lingua nella tua esperienza all’estero?
R. Senz’altro ha migliorato il mio inglese quotidiano, ma anche quello più specifico, relativo a temi che si distanziano dall’utilizzo linguistico di tutti i giorni: un inglese più specifico.

D. Puoi descrivere la tua “giornata tipo”?
R. Sveglia alle 7.30 con una musichetta rilassante che partiva da una cassa in ogni stanza, poi colazione, poi riordino e pulizia degli spazi comuni (a gruppi predeterminati), poi ci si preparava e si prendeva il necessario (penne, fogli, tablet, tutto procurato dalla scuola) e si andava in classe. Al mattino c’erano 3 ore e mezza di lezione, fino alle 12, con un intervallo di 15 minuti a metà mattinata. Le lezioni erano inglese e cultura danese o chimica, finite le quali si pranzava. Molte erano le possibili attività pomeridiane: sportive o all’aperto/sul mare, cucina, arte, danza… ogni settimana c’era un elenco con la possibilità di iscriversi. La prima settimana ho fatto canto, poi sailing (barca a vela), poi surfboard e infine cucina. Il gruppo di cucina si occupava tra l’altro di cucinare il refreshment, ovvero un dessert che si consumava in compagnia dopo la cena. Quando è stato il mio turno, abbiamo preparato una torta alla crema con fragole e cioccolato. Anche nel fine settimana erano previste attività: ogni settimana era caratterizzata da un tema e ogni fine settimana c’era una festa, un’attività che durava 2 giorni. Un week-end abbiamo passato la notte dentro il teatro con pianoforte e strumenti musicali a dormire su materassi di gommapiuma, a metà esperienza abbiamo passato 4 giorni a Copenhagen, una settimana c’è stata una festa d’addio nella sala del teatro… o, per meglio dire, di arrivederci.

D. Quali sono le caratteristiche della società danese e le abitudini dei danesi che ti sono rimaste impresse?
R. Il loro senso di rendere famigliare agli ospiti un luogo. Loro lo chiamano hygge (è un po’ l’equivalente della nostra ospitalità) questo creare un ambiente confortevole, è la base della loro società, soprattutto durante le lunghe ore di buio invernali; poi mi ha colpito la loro discrezione, sono molto cordiali, gentili col prossimo. Per i danesi lo stare bene insieme è un fattore determinante.
D. Ti sei mai sentito “a casa” in Danimarca? Quando e perché è successo?
R. Sì, non subito perché i primi giorni li ho trascorsi ad ambientarmi, ma una volta che ho passato la prima settimana, è stata rapida come cosa. Quando tornavo da un’attività, invece di andare a rifugiarmi nella mia stanza, rimanevo negli spazi comuni per continuare a divertirmi in compagnia. Il clima di gentilezza che regnava mi ha fatto sentire a casa, era come avere una famiglia un po’ più grande.
D. Com’è andata in generale la tua esperienza, cosa ti ha lasciato?
R. Mi ha lasciato più informato, rispetto ad altre culture, mi ha reso la mente più aperta su diversi punti di vista, il confronto con la diversità era all’ordine del giorno, sperimentavo qualcosa di nuovo ogni giorno. Mi è spiaciuto molto dovermi separare dai miei compagni italiani alla fine dell’esperienza, anche se la nostalgia è rimasta per poco, perché alcuni di loro li ho già rivisti a settembre e a gennaio. Mi ha lasciato persone intorno al mondo, amici. Ho conosciuto il mondo attraverso le persone che ho incontrato.

D. Che consiglio daresti ai ragazzi che hanno scelto il programma estivo in Danimarca?
R. Consiglierei di vederla come un’esperienza divertente, di non spaventarsi per un clima che ci si potrebbe aspettare (erroneamente) inospitale, avere fiducia nei responsabili di Ranum, cercare di condividere con loro il più possibile, di non spaventarsi e di esternare tutto quello che hanno da dire e mostrare di loro stessi. In quell’ambiente così ben costruito, famigliare, amichevole, se ci si lascia andare, si amplifica molto l’esperienza che si va a fare.

D. Che progetti hai per il tuo futuro? Cosa vuoi fare “da grande”?
R. Per il mio futuro ho le idee chiare: voglio andare a studiare ingegneria a Torino. Da piccolo ho sempre avuto la curiosità di sapere come funzionano i videogiochi, i programmi, la realtà virtuale, punto a scendere più a fondo in questo mondo degli 1 e degli 0.

Mattia

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