Lasciare tutto, per trovare molto di più!

Chiara

da Padova all'Uruguay per un anno

Ciao sono Chiara e ho 17 anni, compiuti il primo giorno nella mia nuova casa: l’Uruguay, un piccolo stato tra due giganti (Argentina e Brasile). Giorno dopo giorno mi sono innamorata sempre di più di questo Paese e della mia piccola città: Salto.
La mia scelta è stata basata sul fatto che non volevo partire per Paesi europei, volevo andare il più lontano possibile. Quando mi hanno detto che sarei andata in Uruguay ero felicissima perché era un Paese di cui non potevo avere stereotipi, pregiudizi.
La prima cosa che mi ha stupito degli uruguaiani è la tranquillità con cui svolgono tutte le loro attività: prendono tutto con molta calma. C’è da dire che io vivevo in una città di 100.000 abitanti, forse a Montevideo si vive un po’ diversamente, più freneticamente. Questa loro tranquillità a volte mi metteva l’ansia, come se niente andasse mai avanti. Tornata in Italia ne ho risentito: tutto tropo veloce!

Poi mi ha colpito il loro senso della famiglia. Loro passano molto più tempo con i parenti, mentre in Italia siamo abituati a stare con gli amici; comunque in Uruguay si passa tanto tempo in casa. Sono veramente solidali, in ogni situazione ho sempre trovato qualcuno che mi aiutasse. Da loro ho imparato che tanto più è semplice un momento, un gesto, maggiore è l’emozione che può donare.

La mia famiglia ospitante era composta “principalmente” da 4 persone: la mia mamma e il mio papà, che amava organizzare feste e che dal primo giorno mi ha chiamato “figlia”; poi avevo due fratelli più grandi: una sorella di 20 anni che non viveva a casa con noi (studiava a Montevideo) e un fratello di 27 che però era abbastanza impegnato ed era raramente a casa, quindi ho vissuto quasi da figlia unica. Pensavo che mi sarei annoiata, invece i miei erano genitori superattivi e io andavo spesso via con loro. Mentre in Italia sono la sorella maggiore ed esco spesso da sola coi miei amici, lì ero sempre con la mia famiglia a fare qualcosa. In realtà però la mia famiglia era molto più grande: avevo un sacco di cugini e di zii che mi hanno super coccolato.

Anche con insegnanti e compagni di scuola è andata bene: dall’inizio tutti mi hanno aiutato tantissimo. Oltre a riempirmi di domande (un classico), erano tutti molto disponibili, se avevo bisogno che andassero più piano; all’inizio mi facevano fare verifiche facilitate (avevo comunque bisogno di una valutazione per la mia scuola italiana). Ho imparato talmente bene che verso gli ultimi mesi davo ripetizioni ai miei compagni e i prof mi dicevano “non andare via!”.
  • Chiara e il suo papà ospitante durante una gita.

Chiara e le foto del suo anno in Uruguay

Della scuola uruguaya quello che può sorprendere uno studente italiano è il rapporto che gli alunni hanno con i professori. È molto più rilassato, non c’è un clima di stress perenne che caratterizza la scuola in Italia. Nonostante ciò si lavora. Quello che cambia è appunto l’approccio oltre che il metodo: all’inizio dell’ora il professore ti dice di cosa si parlerà nella lezione seguente e ti chiede di cercare su internet del materiale da poter utilizzare successivamente per poter poi discutere, così che ognuno possa dare il proprio contributo alla lezione. A parer mio una lezione svolta in questo modo è molto più gratificante che ascoltare per un’ora il professore che spiega.


La scuola ospitante che ho frequentato era una scuola pubblica, e mi ha dato la possibilità di conoscere altre realtà. Incontrando altri studenti, ho potuto constatare che in Uruguay ci sono comunque delle situazioni di povertà, però gli uruguaiani vivono serenamente con quello che hanno. A scuola facevo un indirizzo che potrebbe essere il nostro classico; mi è piaciuto studiare soprattutto storia, il punto di vista dell’America Latina sui grandi fatti della storia che noi europei non possiamo conoscere, così come la storia dell’America Latina, che in Italia si studia poco o per niente.


La mia giornata tipo era così scandita: mi alzavo verso le 7, la scuola iniziata alle 7.30 e l’orario di uscita era variabile, al più tardi uscivo alle 13.30. Vivevo a 50 metri dalla scuola, perciò non dovevo prendere bus o altri mezzi. Facevo colazione da sola, il papà era già pensionato e la mamma lavorava a casa, poi andavo a scuola. Verso le 13 tornavo a casa e pranzavo con entrambi i genitori e dopo, nel pomeriggio, si faceva la siesta, che durava un’oretta. Nel resto del pomeriggio magari facevo un po’ di compiti e dopo ero abbastanza libera e quindi o uscivo con gli amici o stavo in casa sempre con la mia famiglia. Poi verso sera arrivava il fratello, cenavamo insieme e si guardava la tv. Durante le vacanze estive (da novembre a marzo) ho girato tutto l’Uruguay, sono stata al mare con la mia famiglia e con una studentessa norvegese ho fatto un giro più turistico del Paese. Alla mia famiglia ospitante piace viaggiare e quindi siamo andati alle cascate di Iguazú e, prima di andare via, mi hanno portata a visitare il sud del Brasile.

Quest’esperienza mi ha lasciato un punto di vista opposto a quello europeo e un’apertura mentale nuovaIn Uruguay, pur non essendo una società completamente diversa dalla nostra, dovevo vivere con loro, secondo le loro abitudini. Del resto – mi son detta – loro vivono così, vivono bene, devo abituarmi e accettare il loro modo di vita, mentre prima di partire con Intercultura pensavo che le mie idee fossero in linea di massima quelle giuste. Adesso accetto tutte le idee, sono diventata più aperta, più tollerante sulle idee degli altri.


Il consiglio che do è di essere molto aperti perché in Uruguay tutti sanno tutto di tutti, è una società molto interconnessa e la famiglia ricopre un ruolo molto importante: non bisogna isolarsi e occorre cercare di essere il più possibile propositivi, non aspettare che siano gli altri a venirti a cercare. L’Uruguay è un paese da scoprire. È piccolino e questo rende più semplice sentirsene parte.


Mi sento davvero fortunata ad avere avuto la possibilità di vivere tutto questo, non ci sono parole per esprimere la felicità che mi ha accompagnata dal primo giorno. Ci sono stati due o tre giorni di nostalgia sì, ma sono stati superati facilmente, è bastato guardarmi intorno e rendermi conto dell’esperienza meravigliosa che ho vissuto.


Spero che le mie foto e questo racconto potranno convincervi che davvero ne vale la pena, lasciare tutto per trovare molto di più.

Chiara

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