Un'avventura che mi ha cambiato la vita

Elisa

Da Treviglio in Australia per due mesi

Ci sono ricordi che, non importa per quanto tempo non ti tornino in mente, resteranno sempre forti come il primo giorno.

Quando ero piccola viaggiavo spesso con i miei genitori. A volte prendevamo la macchina e girovagavamo per l’Europa, fermandoci un po’ qui e un po’ lì, e io, bambina curiosa prima, adolescente scontrosa poi, guardavo il mondo scorrere fuori dal mio finestrino.
E mi chiedevo, con la curiosità e l’immaginazione dei bambini, come sarebbe stata la mia vita se fossi nata in Francia, in Germania o in Scozia.

“Come vivranno i bambini francesi?”, mi chiedevo, guardando un bambino uscire da un negozio con la nonna in uno sperduto paesino della Normandia. “Com’è la loro scuola? Che cartoni guardano all’ora della merenda?”

Qualche anno dopo ho scoperto che il mio sogno d’infanzia poteva realizzarsi e che, come me, tanti altri ragazzi sognavano di provare a vivere una vita diversa. Non era desiderio di fuggire il mio (non ancora), né di dimenticarsi di ciò che chiamavo casa, no, era qualcosa di più profondo, di più primitivo: era il desiderio di conoscere.

Ora, io nella vita prendo sempre la decisione sbagliata. Anche adesso che sono “un adulto” proprio non ce la posso fare ad imbroccarne una giusta. Penso di avere azzeccato due decisioni in tutta la mia vita, e Intercultura era coinvolta entrambe le volte.
Non era desiderio di fuggire il mio, era qualcosa di più profondo, di più primitivo: era il desiderio di conoscere.La prima decisione giusta che ho preso è stato decidere di partire, e specificatamente di partire con Intercultura. Non so se mi stia dando troppi meriti adesso, se la decisione di affidarmi a quest’Associazione sia dovuta solo al fatto che i miei genitori la conoscevano e dunque si fidavano a lasciarmi nelle sue mani per essere spedita altrove. Non so se è stata pigrizia nel non cercare alternative o, semplicemente, istinto a far sì che, pagata la mia iscrizione, io mi sia presentata alle selezioni ed entusiasta abbia preparato tutta la mia documentazione. So solo che io oggi, senza Intercultura, non sarei la stessa persona.

L’amore per i Paesi anglosassoni (ah, caro Regno Unito pre-Brexit, quanto mi manchi!), l’insicurezza dovuta all’età, alla scuola, alla famiglia, han fatto sì che io optassi per un programma bimestrale in Australia. Ora, non fraintendetemi: io amo l’Australia, amo la mia Aussie family e non cambierei una virgola di quei due mesi, ma quanto rimpiango di non aver scelto un programma più lungo! Certo che, col senno di poi, siamo tutti bravi a dire “avrei dovuto fare così”: al momento della mia scelta quella era l’opzione che volevo, e quindi meglio sorridere perché è successo che piangere perché è finito, no?

So solo che io oggi, senza Intercultura, non sarei la stessa persona.E così, a diciassette anni da poco compiuti, con dei capelli ricci alquanto ribelli e un’italianità che ancora non sapevo di possedere, sono arrivata in Australia. Una breve tappa a Perth dove ho salutato la maggior parte del gruppo dei partecipanti al programma. Qualche ora da passare con una simpatica famiglia di italo-australiani che, per uno di quei casi assurdi nella vita, qualche mese prima avevano soggiornato nel mio sperduto paesino di provincia, e poi via, verso l’ultima tappa del nostro lungo viaggio (24 ore complessive di aereo!): Canberra.

Giulia, Alice, Francesca e Anna dalla Germania: queste erano le mie compagne di avventura. Tutte e cinque iscritte al Merici College, tutte e cinque impacciate i primi giorni, a vagare per la grande scuola con una divisa che non sentivamo ancora “nostra”.

Prima, però, c’è stato l’incontro con le nostre famiglie ospitanti. Ricordo che, scesa dall’aereo, la prima cosa che ho notato è stata che il ritiro bagagli era nella zona degli arrivi, dove tutti potevano entrare: ve lo immaginate in Italia come potrebbe finire una situazione così?! Poi, nemmeno il tempo di capire dove ero e già qualcuno mi aveva stretto fra le sue braccia: era Jess, mia sorella ospitante.

Io e Jess ci parlavamo da qualche mese su Messenger (mi sento vecchia solo a nominarlo), ci eravamo scambiate mail, messaggi, foto, scherzi su Facebook. Avevo già visto la sua scuola, la sua famiglia, i suoi amici…e ora finalmente ero lì!
Nemmeno il tempo di capire dove ero e già qualcuno mi aveva stretto fra le sue braccia: era Jess, mia sorella ospitante. È buffo come certe cose ti restino impresse nella memoria più di altre: ricordo che in macchina, mentre tornavamo dall’aeroporto con Sally (la mamma), in radio era passata una canzone che adoravo; ricordo che appena arrivata a casa ho mangiato un mandarino, Jess mi ha mostrato le cose essenziali come il bagno e poi mi sono addormentata su uno dei letti più comodi che avessi mai provato, o almeno così mi sembrava dopo tutte quelle ore di viaggio. Ricordo l’intontimento della mattina dopo, lo stupore del “ma sono davvero qui?!”, le risate quando, a scuola con le altre ragazze, abbiamo provato la divisa scolastica. Il trimestre finiva quel giorno quindi avremmo avuto due settimane di vacanza davanti, due settimane da passare con la nostra famiglia. Ricordo che il pensiero che ho avuto finite quelle due settimane è stato “non ho mai passato così tanto tempo lontana da casa, lontana da tutto ciò che conosco” e un brivido scendermi lungo la schiena.

  • Le lezioni di italiano non erano poi così noiose!
  • In gita con la scuola a Sydney
  • Ultimi saluti a scuola
  • Con la divisa del Merici College
  • Sulla strada per Wagga Wagga
  • 'Christmas in July'
  • Con Maddie
  • Con Alice
  • Le amiche più care
  • Ultimi saluti...
  • Il gruppo delle studentesse straniere del Merici
  • Sulla strada del ritorno
  • Sei anni dopo, a Milano

In quelle settimane ci sono state un sacco di feste (era il periodo dei diciottesimi, età in cui è legale bere alcol in Australia e per cui molto festeggiato dai ragazzi) in cui ho potuto conoscere tutte le amiche di Jess e mie future compagne di classe (la scuola era cattolica e solo femminile). C’è stata occasione di visitare la capitale australiana con la mia famiglia, e soprattutto di imparare a decifrare quegli strani versi che definivano inglese. Già, perché non aspettatevi che, siccome studiate l’inglese da anni, arrivati lì lo capirete senza problemi. Oh, proprio no: l’australiano è tutt’altro che comprensibile!

E poi, finalmente, la scuola! Era tutto così diverso: alle 9 ci radunavano in alcune aule in base alla “casa” in cui eravamo inseriti (sì, proprio come Harry Potter! Al Merici erano chiamate come gli ordini di suore che avevano fondato la scuola) e secondo altri criteri che dopo sei settimane ancora non mi erano chiari per fare l’appello mattutino. La scuola aveva classi dallo Year 7 al 12 (come nel sistema inglese, corrispondenti più o meno alle nostre medie e superiori, che però finiscono un anno prima) quindi in quell’aula eravamo di età diverse, tutte con la nostra divisa, diversa solo per la spilla della nostra “casa”.
Le lezioni, diversamente dall’Italia, si basavano molto su esercizi praticiLa divisa comprendeva, nella sua versione invernale (considerate che luglio-agosto lì sono i mesi più freddi, e a Canberra, che è sulle colline, la temperatura poteva anche scendere sotto i 10 gradi – e il riscaldamento era un optional praticamente ovunque, forse in base alla convinzione che solo perché si era in Australia doveva far caldo, non so), una giacca, un maglione a maniche lunghe e una gonna a pieghe al ginocchio di colore blu scuro, una camicetta bianca e calze scure. Le scarpe dovevano essere rigorosamente scure e basse. Sul maglione e sulla giacca c’era lo stemma della scuola, per cui quando si indossava la divisa bisognava sempre mantenere un atteggiamento irreprensibile, o si rischiava l’espulsione.

Per iniziare il primo giorno di scuola in maniera tranquilla noi ragazze del programma di scambio siamo state subito buttate a presentarci davanti a tutta la scuola, circa mille ragazze più un numero indefinito di professori. E poi, non lo dimenticherò mai, in quella che doveva essere un’assemblea di istituto si è esibito un gruppo hip-hop per cui tutto è degenerato in un unico, grande ballo di gruppo.

A scuola frequentavo quattro corsi, con mia sorella Jess religione e inglese, che erano obbligatori, più storia contemporanea e, per conto mio, letteratura inglese, modulo su Shakespeare – il mio corso preferito e che mi ha dato più soddisfazioni. Le lezioni, diversamente dall’Italia, si basavano molto su power point e esercizi pratici. Durante il period del pranzo si poteva andare a mangiare in mensa o, come facevamo noi col nostro gruppo di amiche, sedersi in cortile (tanto il tempo era quasi sempre bello nonostante l’inverno!) con il pranzo che ci si era portate da casa. Quante risate in quelle ore con Sami, Alice, Abby, Maddie e le altre!
Mai come in quei giorni ho compreso cosa significhi essere in pace con la naturaUna delle esperienze più belle che ho vissuto e che mi rimarrà per sempre nel cuore è stato lo Spiritual Retreat organizzato per l’Year 12 (il loro ultimo anno) a Warrambui. Ci siamo recate in questa specie di campeggio in mezzo ai boschi – e ai canguri! – dove non prendeva il cellulare e non c’era nulla, assolutamente nulla, intorno per chilometri e chilometri. Come dice il nome, era un ritiro spirituale – la scuola era cattolica, ma lo scopo era proprio rimettersi in contatto con la propria spiritualità che, come lì ho imparato, non è per forza legata ad una religione. Saremmo rimaste lì per tre giorni, una cinquantina di ragazze in mezzo alla natura che passavano il tempo facendo attività varie. Mai come in quei giorni ho compreso cosa significhi essere in pace con la natura.

Ho avuto la fortuna di essere ospitata da una famiglia che mi ha potuto portare in giro a visitare l’Australia e le sue meraviglie: Perth prima, poi tutta Canberra, Wagga Wagga, un grazioso paesino nell’outback australiano, e infine Sydney. I colori di questo Paese non possono essere descritti: il verde è più verde e il blu dell’oceano è profondissimo. I sapori dei loro cibi mi sono rimasti impressi, così come i suoi odori: tutto, in Australia, sembra più puro.
Tutto, in Australia, sembra più puroE poi, tutto d’un tratto, era ora di tornare a casa. Il brutto dei programmi brevi è che non appena ti sei abituato alla tua nuova vita è già ora di lasciarla: i viaggi in macchina verso scuola con Jess, le ore passate a guardar cucinare Michael, i commenti davanti alla tele con Sally… tutto fa parte dei miei ricordi ora, ricordi che saranno miei per sempre. I lunghi corridoi del Merici con i suoi armadietti; l’esercitazione di lock down che abbiamo fatto durante una lezione di inglese; le numerose feste a cui abbiamo partecipato. L’Australian Dinner a casa della nostra insegnante di italiano, dove noi ragazze ospitate abbiamo imparato a cucinare tipici piatti Aussie, e poi la crociera lungo il Burley Griffin Lake, dove ci siamo scatenate in balli e lacrime perché stavamo salutando i nostri nuovi amici. La torta con i colori della bandiera italiana che mi ha preparato Alice il mio ultimo giorno di scuola; il portachiavi con un cuore che mi hanno regalato Sami e Abby; le lacrime che ho versato quando la hostess dell’areo ha strappato il mio biglietto e ho capito che il viaggio di ritorno verso casa era iniziato.
In soli due mesi, ho stretto dei legami che spero dureranno una vitaAvrei tante altre cose da dire sul mio soggiorno in Australia. Probabilmente quella più importante è che, in soli due mesi, ho stretto dei legami che spero dureranno una vita: ho rivisto i miei genitori due volte qui in Italia, mia sorella è venuta a trovarmi con un’amica e il prossimo anno si sposerà – sarà un’ottima occasione per ritornare downunder e scrivere un altro capitolo della mia storia australiana.

Infine, ricordate quando ho detto che le uniche due decisioni giuste della mia vita riguardano Intercultura? Ecco, ce n’è un’altra che ho preso, sei anni dopo esser partita per l’Australia, ma questa è un’altra storia…

Elisa

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