Vivere tra le montagne del Giappone

Giulio

da Bologna in Giappone per sei mesi

Giulio ha trascorso 6 mesi in Giappone nel secodo quadrimestre: un'esperienza unica, immerso nella natura, lontano dalle grandi città. Un sogno diventato realtà
Quando prima di partire mi immaginavo il Giappone pensavo a tutto tranne che a quello che mi avrebbe aspettato una volta arrivato nella punta all’estremo nord dell’isola dello Honshū, la prefettura di Aomori. Per contestualizzare il luogo dove sono capitato a vivere per sei mesi, è indispensabile fare un’introduzione.

Il Giappone si estende per moltissimi chilometri, è un arcipelago estremamente diversificato che ospita una grande varietà di sfaccettature di una cultura millenaria. Alcune caratteristiche sono ben note: dal clima temperato d’inverno e umido d’estate di Tokyo che immerge la sua giungla infinita di grattacieli, al Kansai, caldo con una brezza oceanica, pieno di tradizione millenaria di templi maestosi. Ancora, da Miyazaki nel Kyūshū dove tra una cascata nella foresta che crea uno scorcio nel panorama di spiagge si coltivano anche i manghi, a Okinawa, il puntino subtropicale con un mare pazzesco che fa da orecchino dorato nell’acqua dell’estremo meridione giapponese. Tuttavia, in pochi sanno che 580 chilometri più a nord della capitale si trova la città più nevosa al mondo, Aomori-shi, una baia dagli altissimi muri di neve che fa da capoluogo alla prefettura di Aomori, un luogo freddo, di fitte foreste e alte montagne, casette di legno e raccoglitori di mele. È proprio in questa regione che Hashikami, tradotto letteralmente “il piano di sopra”, un piccolo insediamento ai piedi di un monte, è stata la mia casa durante il periodo all’estero con Intercultura.
In questa regione che Hashikami, tradotto letteralmente “il piano di sopra”, un piccolo insediamento ai piedi di un monte, è stata la mia casa durante il periodo all’estero con Intercultura.

Nello specifico, vivevo proprio in una piccola casetta di legno, una “log-house”. Il signore che mi ha ospitato per sei mesi in casa sua si chiama Mitsuyoshi.

Il mio papà ospitante, un uomo di 60 anni appena pensionato, stanco dal lavoro di una vita in caserma come pompiere, si era deciso di voler dare una svolta alla sua vita e di accogliere uno studente di intercultura. In casa eravamo solo noi due, e a volte ci veniva a trovare suo figlio ormai cresciuto, Shintaro, di 30 anni. Difatti, la mia famiglia ospitante in Giappone si poteva definire a tutti gli effetti una famiglia monogenitoriale senza figli in casa. All’inizio, a dire il vero fin da molto prima di partire, ero preoccupato alla notizia che sarei stato in una famiglia composta da una sola persona. Mi ricordo ancora benissimo l’emozione di quando ho ricevuto la comunicazione che riguardava con il mio abbinamento in Giappone, come mi ricordo con precisione la preoccupazione e l’incertezza che ho avuto nell’accettare. Tuttavia, ben presto con il passare del tempo a Hashikami, ogni giorno di più mi rendevo conto della fortuna che avevo avuto a incontrare Mitsuyoshi. I ricordi che ho assieme al mio papà ospitante in Giappone sono senza dubbio tra i più belli che conservo. Nonostante abbiamo passato assieme un periodo relativamente breve rispetto alle nostre vite, soprattutto la sua, ci siamo uniti come una vera famiglia.
I ricordi che ho assieme al mio papà ospitante in Giappone sono senza dubbio tra i più belli che conservo.
Il Giappone è stato il mio terreno di crescita. Nei momenti quotidiani, come il viaggio in macchina dal nostro minuscolo villaggio fino a scuola, quando passavamo campi di riso misti a foreste mentre parlavamo dell’Italia e del Giappone, mi sentivo grato e fiero di me stesso, per riuscire a cogliere in silenzio almeno uno spicchio di pensiero di quella società lontana. Ancora, quando ogni domenica mattina andavamo al mercato di Hachinohe, il più grande mercato della mattina del Giappone, mangiando zuppa e spiedini di pollo alle sei di mattina, il sapore dello spiedo mentre riuscivo a comunicare con il venditore in giapponese non l’avevo mai trovato così buono. E infine le occasioni più speciali, come quando ho potuto vedere il festival di primavera a Hirosaki, quando passando tra una bancarella e
l’altra tra una marea di gente ci piovevano i petali addosso, o come quando a luglio, saliti sulla sua macchina nera, Mitsuyoshi mi ha portato a vedere lo Hokkaidō, in un viaggio in macchina di una settimana fino a vedere la Siberia.
il sapore dello spiedo mentre riuscivo a comunicare con il venditore in giapponese non l’avevo mai trovato così buono.
I miei sei mesi nella prefettura di Aomori hanno rappresentato un’opportunità da sfruttare in ogni momento e con il passare del tempo mi sono reso conto di quanto grande fosse l’impresa di vivere dalla parte opposta del pianeta.
Infine, il consiglio che vorrei dare a chi legge questo racconto emozionato e impaziente di partire è di aprire la mente; Comprendere e abbracciare il tessuto sociale del paese ospitante, facendo del rispetto e della gratitudine due priorità, e dell’impegno e la della curiosità gli strumenti più preziosi.

Giulio

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