La religione in America come un puzzle

Laura, da Bari negli Stati Uniti per un anno

Riflessione in occasione del Convegno "Il Silenzio del Sacro"

Durante la mia esperienza annuale negli Stati Uniti, ho avuto modo di riflettere sul rapporto che gli americani hanno con la religione. La mia famiglia ospitante era cattolica, come la mia famiglia italiana, e allo stesso modo non frequentante; fin qui, tutto “normale”. A scuola, invece, avevo compagni delle più svariate religioni, soprattutto cristiani e atei, ma anche induisti, musulmani, ebrei, buddisti, e qualcuno che si professava “pastafariano”, cioè credente in un mostro volante fatto di spaghetti.

Nonostante ciò, ho notato che la maggioranza, se non totalità, delle festività era di stampo cristiano, del tutto comprensibile considerando che gli Stati Uniti sono sempre stati un Paese a maggioranza cristiana.

Certo, si trattava di feste rese laiche, ad esempio le vacanze di Natale erano chiamate “pausa invernale” e le vacanze di Pasqua “pausa primaverile”, per rispetto verso le minoranze, ma era risaputo di cosa si trattasse. Eppure, separare le feste dalla religione dava a tutti un motivo per prendervi parte, perché alla fine dei conti non si trattava di festività cristiane, ebree o buddiste, ma di una celebrazione di quell’agglomerato di culture che sono gli Stati Uniti.
  • L'immancabile tacchino del Ringraziamento
  • Una parte del pranzo del Ringraziamento
  • Le calze di Natale con i nomi di tutti i componenti della famiglia, inclusi il cane e gli altri due exchange student degli anni passati!
  • Biscotti di Natale fatti con mia madre, una giornata intera di lavoro!
  • Il regalo di Natale più bello: la foto con la mia famiglia!
  • Il biglietto di San Valentino
  • Una foto con i miei migliori amici di AFS da varie nazioni: conoscere questi ragazzi è stata una delle cose più belle del mio anno negli USA, e sono molto affezionata a questa foto. Esprime esattamente le emozioni in del momento!

Ho apprezzato molto la versione americana di San Valentino: per noi è la festa degli innamorati, per loro è la festa dell’amore in tutte le sue forme, quindi anche per gli amici o la famiglia. A scuola, per un dollaro, chiunque poteva prenotare un fiore anonimo per un amico, e così la mattina del 14 febbraio tutti hanno ricevuto dei coloratissimi mazzi di fiori.

Onestamente, mi sono commossa quando, tornata a casa, ho trovato due rose sul mio comodino accanto ad un bigliettino con scritto “We understood almost immediately why your parents are so proud of you. We love you and are so happy you came into our lives. Love, mom and dad.” (“Abbiamo capito quasi immediatamente perché i tuoi genitori sono così orgogliosi di te. Ti vogliamo bene e siamo contentissimi che tu sia entrata nelle nostre vite. Con amore, mamma e papà.”)

Il Giorno del Ringraziamento, o “Thanksgiving”, seppur di stampo cristiano, è stata una novità per me. È una festa celebrata insieme a tutta la famiglia, e quando dico tutta lo intendo letteralmente: casa nostra era così affollata che noi ragazzi ci siamo dovuti sedere a mangiare sul pavimento!

Per tradizione, ognuno porta un piatto; in genere si tratta di tacchino, zucca o patate in diverse versioni, anche se la crostata alle noci della nonna è immancabile.
Tutti ringraziano per quello che hanno, ma in realtà si tratta di un momento di riflessione sull’anno quasi terminato, su ciò che si è fatto e su quello che si può migliorare.Penso che, senza rendersene del tutto conto, gli americani, anche gli atei, siano molto legati alla religione.
Si tratta di alcuni princìpi che fanno propri sin da piccoli, perché sono nel mondo che li circonda, o del semplice dire “bless you”, letteralmente “che Dio ti benedica”, quando qualcuno starnutisce.

E parlando di ringraziamenti, io sono grata per ciò che mi ha dato Intercultura, perché immergermi nella vita di una famiglia, scuola e città statunitense mi ha dato modo di conoscere tratti della loro cultura che non avrei mai potuto scoprire altrimenti.

Laura, da Bari negli Stati Uniti per un anno

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