Crescere aiutando gli altri

Erica

Da Lecco in Repubblica Domenicana per un anno

Ciao! Sono Erica e sto vivendo un anno in Repubblica Dominicana.Tra le numerose splendide opportunità che questo meraviglioso paese mi sta offrendo, quella del volontariato è certamente una delle più interessanti.

Grazie ad un progetto ideato dalla mia scuola, i miei compagni di classe ed io ci rechiamo periodicamente nelle zone rurali del paese, dove la gente vive in condizioni di povertà, particolarmente difficili. Le immense piantagioni di banane, infatti, nascondono una realtà molto diversa da quella della città, che di per sé, risulta già differente per chi, come me, è cresciuto in un paese sviluppato.

La maggior parte delle case è costituita da pareti di legno fatiscenti, coperte da un tetto in lamiera. All'interno si incontrano solo materassi sul pavimento e magari qualche coperta qua e là. Niente bagno né cucina, né tanto meno elettricità o acqua. Spesso due o tre famiglie sono stipate in abitazioni grandi quanto una normale camera da letto.

In queste zone, inoltre, la violenza è molto diffusa, tanto che la maggior parte delle persone si sposta regolarmente armata di machete per potersi difendere. La vista di tutto questo mi suscita sempre una sensazione che non si può descrivere a chi non l'ha mai provata.

Spesso, quando vediamo queste situazioni in una pubblicità di una qualche organizzazione, tramite uno schermo o una fotografia, ci appare come qualcosa di lontano, che non ci tocca direttamente. È quando queste immagini bucano direttamente i nostri occhi, senza nessun tipo di filtro, che ci si rende conto che tale situazione è molto più vicina di quanto pensiamo, poichè si percepisce davvero la sofferenza di queste persone. Risulta dunque inconcepibile che qualcuno con dignità pari alla nostra, in quanto essere umano, riceva un trattamento così diverso, e una volta visto è impossibile rimanere con le mani in mano senza fare nulla per cambiare le cose.

Durante le nostre visite, una volta distribuiti cibo e vestiti, abbiamo la possibilità di passare del tempo con la gente del posto, giocando con i bambini e informandoci con i più grandi sulle loro condizioni di vita. È proprio questa la parte più interessante, e allo stesso tempo triste. Ogni volta è come ricevere un enorme pugno nello stomaco.Non è per niente facile stare a guardare un padre di dodici bambini piangere perché a causa dell'uragano dello scorso settembre ha perso tutti i suoi risparmi, con i quali sperava di comprare una moto affinché i figli potessero recarsi a scuola. È allo stesso modo difficile trovare le parole per confortare una madre che confessa con le lacrime agli occhi di sentirsi un fallimento come genitore per essere obbligata a mandare al lavoro i propri figli, i quali avrebbe voluto imparassero a leggere e scrivere. Risulta forse ancora più arduo vedere un bambino che alla domanda ''cosa vorresti fare da grande?'' rimane a fissarti con fare perplesso senza aprire bocca. Questo perché non è nemmeno consapevole del fatto che si possa scegliere di fare qualcosa per piacere e per sentirsi appagati, che si possa pensare a un futuro che non abbia come unico scopo sopravvivere.

Fortunatamente, però, le ferite lasciate dal duro scontro con questa situazione sono curate dai sorrisi, dagli abbracci e dal calore smisurato che queste persone sanno trasmettere. Non c'è cosa migliore di sentire le grida di gioia dei bambini davanti a una semplicissima ciotola di cereali o le centinaia di ''gracias'' che escono sinceri dalla bocca dei più grandi per i vestiti regalati. Questa esperienza di volontariato mi ha insegnato che molte delle cose che riteniamo essenziali sono in realtà futili, e che ciò che rende davvero le nostre giornate migliori è la compagnia e il senso di comunità, presentissimo nelle campagne domenicane.
A tal proposito, chiudo con la frase con cui un giovane ha risposto a una mia domanda sul ruolo del denaro nel raggiungimento della felicità: ''non servono soldi per cantare e ballare merengue tutti insieme!''

Erica

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