La prima impressione

Camilla

Da Torino ad Hong Kong per un anno

Non sono mai stata brava a scrivere, ma la voglia di condividere l’esperienza che sto vivendo mi ha dato la spinta per fare questo tentativo.

La mia nuova vita è iniziata la mattina del 23 agosto, quando, arrivata all'aeroporto di Hong Kong, ho visto la famiglia che mi avrebbe ospitato per 10 mesi. Abbiamo fatto tantissime foto e i volontari di AFS locali, notando la mia faccia un po’ spaesata e confusa per il servizio fotografico, mi hanno risposto: questa è Hong Kong, benvenuta! Dopodiché sono andata insieme alla mia famiglia, composta da genitori e due sorelle (una di 15 e l’altra di 7 anni) a fare colazione in un ristorante cinese, dove mi sono abbuffata di cibo delizioso! Il mio papà ospitante un giorno mi ha persino detto: “Se in Italia avevi la tartaruga come addominali, qui ce l’avrai lo stesso, ma rovesciata!” Temo proprio che non stesse scherzando. Ovunque vada qui ci sono bancarelle di cibo con il cosiddetto streetfood, ma non basta: persino le bibite sono irresistibili! Vedrò di compensare il tutto con le varie attività sportive che la mia scuola offre.

La prima settimana è stata molto impegnativa perché la mattina andavo all'orientation camp di AFS insieme a tutti gli altri ragazzi del programma di scambio e nei pomeriggi ho dovuto fare la carta d’identità, aprire un conto bancario, per non parlare dei preparativi per la scuola! Ho comprato l’uniforme, che comprende anche delle scarpe nere anni ’50, dei lunghi calzettoni bianchi e la divisa per educazione fisica. Ma non mi lamento, è così bello non dover impazzire ogni mattina nello scegliere cosa indossare.

Vi racconto il primo giorno di scuola. Ho preso il bus, accompagnata da una mia compagna di classe che si è proposta di farmi da “tutor”, e sono entrata a scuola. Tutti gli studenti si sono riuniti in una grande sala riunioni e una volta richiesto il silenzio, si sono alzati in piedi e hanno cantato l’inno della scuola tutti insieme. Essendo una scuola cristiana, si è recitato anche una preghiera per il buon andamento dell’anno scolastico e poi è arrivato anche il momento della mia presentazione. Mi sono alzata in piedi e, salita sul palco, ho parlato di fronte a tutta la scuola. Finita la mia presentazione, hanno annunciato che tutte le classi della form 4 (qui ad Hong Kong il liceo dura sei anni) sarebbero partite il giorno dopo per un training camping.
  • Con gli amici
  • Open day a scuola: il laboratorio di biologia
  • Il papà ospitante e Camilla in gita di volontariato nello Yunnan
  • Camilla con la sua classe
  • Camilla con la classe di bambini nello Yunnan
  • Tutti in classe!

Ora voglio raccontarvi la mia esperienza di questo campo che è stato duro ma al tempo stesso meraviglioso. Il mattino seguente, in cento tra studenti e insegnanti, abbiamo preso un battello che ci ha portati sull’isola di Chen Chau. Arrivati, con gli zaini in spalle ci siamo avviati sotto la pioggia su per una collina e dopo venti minuti circa siamo arrivati esausti al campo. Ci hanno accolto degli animatori che ovviamente parlavano solo in Cantonese. Questi ci hanno condotto poi nelle rispettive stanze.

Io condividevo la stanza con le ragazze della mia classe. Il primo giorno, devo ammettere, è stato un trauma e ho desiderato più e più volte di tornare a casa, o perlomeno di tornare dalla mia famiglia di Hong Kong. Non conoscevo quasi nessuno e quei pochi con cui avevo parlato, se mi rivolgevano la parola, era solo per tradurmi quello che gli animatori dicevano. Tutti parlavano in cantonese e io mi sentivo come un pesce fuor d'acqua, che non aveva nulla a che fare con loro. L'obiettivo principale del campo era quello di insegnare ad essere un leader e a fare lavoro di squadra. Ecco perché subito ci hanno diviso in squadre. Io facevo parte della "Happy Team" ed il nostro motto era "Don't worry, be happy, victory!". E ancora una volta mi sono sentita in colpa, siccome eravamo l'unica squadra ad avere un nome in inglese e i miei compagni dovevano tradurre ogni volta per me quello che spiegavano. Abbiamo fatto parecchi giochi e attività di squadra quel giorno, ma io non riuscivo a divertirmi quanto gli altri - ma quella sera è successo qualcosa che ha cambiato tutto il mio modo di vedere le cose. Non avevo portato un asciugamano per farmi la doccia e una mia compagna, vedendo la disperazione nei miei occhi, si è offerta di darmi il suo di scorta. Da quel momento ho capito che i miei compagni non mi aiutavano perché erano costretti, ma perché erano felici di farlo. Infatti quella sera stessa molti studenti entravano nella mia camera per presentarsi e salutarmi. Si sono divertiti molto a torturarmi, chiedendomi quali fossero i loro nomi inglesi. Penso che mi servirà un’agenda solo per questo!

Grazie a questo campo così ho imparato che non bisogna arrendersi al primo tentativo e che bisogna imparare a fidarsi dei propri compagni, che ora sono diventati amici, e di non avere paura di chiedere il loro aiuto se ne ho bisogno

La mattina dopo quindi mi sono svegliata con una nuova prospettiva sulle cose da fare. Nei due giorni successivi mi sono divertita come non mai! Abbiamo fatto una specie di caccia al tesoro su tutta l'isola avendo a disposizione soltanto una mappa (i miei compagni mi traducevano tutto quello che dovevamo fare); abbiamo fatto una passeggiata con gli occhi bendati, guidati da una sola persona che, in inglese, ci diceva quali movimenti compiere; abbiamo fatto un'arrampicata di gruppo su una parete, con alcuni compagni che controllavano e tenevano le corde delle nostre imbragature per farci fare una salita in totale sicurezza; abbiamo fatto una piramide umana per arrivare ad attaccare un foglietto con il nome della nostra squadra sul soffitto. Grazie a questo campo così ho imparato che non bisogna arrendersi al primo tentativo e che bisogna imparare a fidarsi dei propri compagni, che ora sono diventati amici, e di non avere paura di chiedere il loro aiuto se ne ho bisogno. E allora mi sono detta: così come io ed i miei compagni abbiamo superato insieme tutte queste prove di fiducia, coraggio e forza, così io, con l'aiuto della mia famiglia ospitante e dei miei nuovi amici, posso affrontare questa grande sfida e opportunità che ho desiderato da molto tempo. Mia madre ha fatto una bella metafora che non scorderò mai e che mi è stata di aiuto in questo primo periodo: "sai le bolle di vetro che racchiudono una città? Ecco tu sei come una di queste bolle che quando viene agitata fa cadere la neve sulla città. Adesso in questo periodo potrai anche essere scossa o scombussolata, ma prima o poi la neve nella bolla cade e si deposita. Così anche tu riuscirai ad adattarti."

Camilla

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