Per un mondo più inclusivo!

Intervista a Anna Romboli

Ex partecipante in Honduras, volontaria e Programme Officer all’AICS di Maputo

Questa è una delle 17 interviste a ex partecipanti ai programmi di Intercultura che attualmente si occupano di progetti "sostenibili" che rispondono agli obiettivi proposti dalle Nazioni Unite con l'Agenda 2030. Intercultura ha aderito all'Alleanza Italiano per lo sviluppo Sostenibile (ASVIS), l'iniziativa nata per far crescere nella società italiana la consapevolezza dell'importanza dell'Agenda globale per lo sviluppo sostenibile.


OBIETTIVO 10 - Ridurre le disuguaglianze. Ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le nazioni.


Intervista a Anna Romboli, ex partecipante in Honduras nel 2009-2010.
Una ragazza di Forlì, 29 anni, vive in Mozambico e fa la cooperante. Da poco diventata zia, ama ballare e giocare a calcio A5. Dall’esperienza con Intercultura non si è mai fermata: dopo il Portogallo, la Spagna, il Sudafrica, il Mozambico e il Belgio, da un paio d’anni lavora a Maputo per l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), un ente governativo italiano che finanzia e implementa programmi di cooperazione allo sviluppo in diversi Paesi.





Abbiamo pensato a te come nostro testimonial di questo obiettivo: di cosa ti occupi all’AICS di Maputo?
Sono Programme Officer per l’inclusione sociale (con un focus sul genere e sulla disabilità), quindi fondamentalmente devo assicurarmi che in ogni programma che formuliamo, implementiamo o finanziamo come Agenzia in Mozambico, Malawi e Zimbabwe siano previste azioni specifiche per l’uguaglianza di genere e l’inclusione delle persone con disabilità. Inoltre, mi occupo del coordinamento di un programma settoriale per il rafforzamento dei diritti delle persone con disabilità in Mozambico. In più rappresento l’Agenzia agli incontri settoriali su questi temi, e sono Focal Point per tutte le organizzazioni italiane che operano nella regione, che sono davvero tante!


Il punto 10.2 dell’obiettivo vuole potenziare e promuovere, entro il 2030, l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, a prescindere da età, sesso, disabilità, razza, etnia, origine, religione, stato economico o altro. A che punto siamo?
Vorrei essere più positiva, ma la pandemia ha avuto un grande impatto sulle dinamiche dell’inclusione, che in questo target è misurata principalmente in base al reddito (quota di popolazione che vive al di sotto del 50% del reddito mediano nazionale). La crisi ha esasperato le disuguaglianze già esistenti, non solo tra paesi ma anche all’interno degli stessi, colpendo più duramente le fasce più vulnerabili. A livello economico, se prima della pandemia in alcuni paesi era diminuita la disuguaglianza di reddito (e quindi il coefficiente di Gini), ora il rischio è un’inversione di rotta, in particolare per i paesi in via di sviluppo. Il numero dei rifugiati nel mondo è più che raddoppiato dal 2010, arrivando a 24 milioni a metà del 2020. Nonostante questo aumento, gli ultimi dati mostrano che, nel 2019, solo il 54% dei paesi aveva una serie completa di misure politiche per facilitare una migrazione e una mobilità ordinata, sicura, regolare e responsabile.
A livello sociale si sono acuite le tensioni, con una tendenza preoccupante alla polarizzazione delle opinioni, spesso a discapito di alcuni gruppi sociali, come i migranti o la comunità LGBTQI+.


D’altro canto, però, rispetto ai tempi dei miei genitori, per la mia generazione (e ancor di più per i più giovani) è potenzialmente molto più semplice entrare in contatto con la diversità, viaggiare, avere accesso alle informazioni e a piattaforme che facilitano lo scambio di opinioni. L’eterogeneità delle società è sempre più visibile, c’è maggiore attenzione all’inclusione sia nel settore pubblico che nel privato, che molti casi ha capito che valorizzare la diversità porta ricchezza.


Quali sono le azioni o le attenzioni che possiamo mettere in atto quotidianamente per essere più inclusivi/e e ridurre le ineguaglianze?
Il primo passo è quello di cominciare a fare attenzione al linguaggio che utilizziamo, ai nostri comportamenti e a quelli degli altri nel rapportarsi con una persona con disabilità, per esempio, o nei confronti di una persona con un diverso orientamento sessuale o di un’altra religione. Il secondo passo è farsi e fare molte domande, essere curiosi, informarsi. Capire se nella nostra scuola o comunità ci sono misure per favorire l’inclusione delle persone con disabilità (a partire dall’accessibilità), se ci sono spazi o pratiche che valorizzano le diversità, se tutt* sono ugualmente rappresentat* nei gruppi che frequentiamo. E se la risposta è no, c’è sempre qualcosa che si può fare per migliorare la situazione, magari chiedendo proprio alle e ai dirett* interessat*.
Come cittadine e cittadini in generale, credo sia fondamentale fare scelte più responsabili nei nostri acquisti, informandoci sulla provenienza dei prodotti; supportare gruppi che combattono le disuguaglianze (Intercultura è una di queste!); pagare le tasse per permettere migliori servizi pubblici, scolastici e sanitari, per tutti; eleggere partiti che fanno dell’inclusione un valore.

Quali devono essere le politiche per raggiungere progressivamente una maggior uguaglianza?
È una domanda difficile, dipende molto dal Paese e dalla situazione economica.
Gli ultimi anni sono stati segnati dalla rinascita dei dibattiti sulla “tassazione progressiva”, a causa dell'aumento della ricchezza privata rispetto al reddito nazionale e della sua concentrazione in un gruppo sempre più ristretto di persone. Rivedere questi sistemi, tassando maggiormente i più ricchi, considerando anche le altre forme di ricchezza oltre alle proprietà e ai patrimoni, sarebbe un passo importante verso un sistema fiscale più coerente e integrato. Importante anche la protezione sociale, o la sicurezza sociale, un diritto fondamentale che include benefici importanti non solo per i singoli, ma per tutta la società. Estendendo questi programmi si aumenta la produttività e si contribuisce alla dignità e alla piena realizzazione delle persone, favorendo la coesione sociale anche nei periodi di crisi economica. Poi servono politiche per favorire la creazione di posti di lavoro o per l’introduzione di un salario minimo (con particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili).
È evidente però che questi strumenti da soli non eliminano tutte le forme di discriminazione, ma sono necessarie azioni più ampie: raggiungere la parità di retribuzione tra uomini e donne richiede politiche volte a combattere le pratiche discriminatorie e gli stereotipi di genere sul valore del lavoro (anche di cura) delle donne, politiche efficaci sulla maternità, la paternità e il congedo parentale, così come la promozione di una migliore condivisione delle responsabilità familiari.


Quali sono le tue esperienze con Intercultura? Come ha influenzato il tuo percorso accademico e professionale?
Devo tantissimo a Intercultura! Il programma annuale in Honduras, è stata un’esperienza difficile ma molto arricchente. Nonostante gli anni, sono ancora molto in contatto con la mia famiglia ospitante, è un bel legame, è bello sapere che ci sono.
Il mio percorso accademico e lavorativo è certamente cominciato da quell’esperienza, dal vedere una povertà diversa da quella a cui ero abituata in Italia, dal pormi molte più domande e dal fare i conti con punti di vista molto diversi dal mio.
Poi sono diventata volontaria nel 2010, e con la mia famiglia abbiamo ospitato Beverlee, una ragazza statunitense, per un anno.


Cosa diresti alle ragazze e ai ragazzi che hanno deciso di iscriversi al concorso di Intercultura?
Prima di tutto “Congratulazioni!”: iscriversi e partecipare alle selezioni è già un primo passo molto importante, l’esperienza parte da qui, da voi!
Vi faccio un grandissimo in bocca al lupo per le selezioni, e spero che la partecipazione ai programmi di Intercultura possa essere arricchente tanto quanto lo è stato per me.
Non preoccupatevi se non doveste passare le selezioni, ci sono molti modi per partecipare al progetto educativo di Intercultura… per esempio, avete valutato l’ospitalità?

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