Condividere significa amare

Margherita

da Udine in Sudafrica per un programma scolastico annuale

Gli studenti che partecipano ai programmi di Intercultura hanno un punto di vista privilegiato sul mondo ed è per questo che abbiamo chiesto loro di raccontare un aspetto della cultura del loro Paese ospitante che li ha colpiti, in merito al ruolo della donna, ai diritti umani, all'ambiente, alla povertà, all'accesso all'istruzione ma anche a ciò che davano per scontato.
Un modo per riflettere sugli obiettivi dell’Agenda 2030 promossi dall’ONU e in Italia portati avanti anche dall’ASviS, l’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile, a cui la nostra Associazione aderisce.

Margherita è di Udine e sta vivendo un anno in Sudafrica, a contatto con una povertà dignitosa.

Inizia tutto con un sorriso luminoso. Poi un abbraccio forte, sicuro, caloroso. La voce fa domande fremente di eccitazione e allegria. Una risata potente, vera, limpida. La sicurezza di avere un legame. È così che tutte le persone nuove che ho incontrato mi hanno trattato la prima volta, appena arrivata a Bushbuckridge, una zona rurale del Sudafrica.

Per arrivare a casa devo percorrere una strada sterrata, dove il pomeriggio è pieno di persone che parlano e di bambini che giocano facendo semplicemente girare una ruota con dei bastoncini di legno. Sto trascorrendo il mio anno all’estero con una famiglia preziosa: mia mamma Grace e le sue due nipoti Kedibone e Neo, rispettivamente di 16 e 9 anni. Nel mio giardino ci sono alberi di avocado e mango e le galline ti rallentano il passo. In fondo c’è una casetta, il bagno. Sì, perché in casa non c’è l’acqua corrente, c’è soltanto un rubinetto fuori. Per lavarmi uso dei secchi, scaldando l’acqua in un bollitore. Viviamo grazie alla pensione di mia mamma che equivale a circa 300 euro al mese. In una casa come la mia, i lavori da fare si moltiplicano. Bisogna lavare i vestiti a mano, cambiare autonomamente l’acqua nel lavandino per lavare i piatti, riempire periodicamente delle taniche in casa per il momento in cui il rubinetto fuori è a secco. In più, tenere in ordine e fare le solite pulizie nelle stanze, ovviamente senza la nostra comoda aspirapolvere.

Da quando sono qui ho appreso molte cose e ne ho insegnate altre. Ho sperimentato una vita senza molte comodità che ritenevo scontate nella mia casa friulana e ho imparato ad apprezzarle ancora di più. Ho notato come nonostante la povertà si riesca ad essere allegri e a ridere. Ho ripensato a quando ero triste per cose che ora ritengo futili.

In particolare, mia sorella Bonnie sta contribuendo in modo significativo alla mia crescita. Mi ha mostrato come si riesca a realizzare una giornata nel momento in cui si riesce a strappare un sorriso a qualcuno. Lei stessa è diventata infinita forma di ammirazione per me. Chiacchieriamo interi pomeriggi, da quando quattro mesi fa ho avuto l’onore di poter condividere la stessa casa con lei. Sono affascinata, sorpresa e folgorata da quanto questa ragazza sia forte, perché vive guidata dalla speranza. Brama un futuro brillante e lavora per raggiungerlo: è sempre nella top 5 della scuola. Il suo sogno è diventare contabile perché sa che un domani non vorrà vivere una vita come quella che sta facendo ora e vuole riuscire a prendere un volo per conoscere tutta la mia famiglia e i miei amici. Ha sempre il sorriso sulle labbra e uno scherzo pronto per far ridere e ama parlare molto. A volte però, il suo sguardo si annebbia. Ammutolisce. Io la conosco e so cosa sta pensando. So che rimugina sulla gita scolastica a cui non è potuta andare, ai vestiti nuovi che non ha avuto per Natale, al fatto che non ha mai soffiato le candeline su una torta per il suo compleanno, alle scarpe dell’uniforme scolastica inutilizzabili perché troppo rotte e vecchie, allo smartphone che la maggior parte dei suoi coetanei possiede. So che si chiede chi sia suo padre e cosa stia facendo nella capitale la sua madre biologica che non la chiama da mesi, neanche per il suo compleanno. I suoi pensieri iniziano sempre con “Se solo se…”. Ma lei mi ha insegnato ad essere euforica per piccole cose, come un pezzo di cioccolata o una giornata al centro commerciale, e lei stessa mi ha detto che la vita è troppo breve per perdere tempo preoccupandosi.

In Sud Africa non solo lei vive così. Stereotipare la famiglia sudafricana è un processo veramente impossibile. Una donna può avere anche otto figli e acquisirne altri in un secondo matrimonio. Ci sono ragazzi che hanno una madre e un padre, altri che non li hanno mai conosciuti e quindi abitano da soli, altri che stanno con la nonna perchè i genitori sono nelle grandi città per lavoro. È possibile avere una compagna di classe che ha un figlio e delle giovani insegnanti potrebbero essere nonne.

Inoltre, il fattore linguistico in Sud Africa è degno di ammirazione: è normale per un abitante parlare perfettamente almeno tre lingue e capirne anche nove. Ad esempio, a casa mia si parla zulu, ma la famiglia dei miei cugini conversa in xitsonga, mentre a scuola i ragazzi si confrontano in sotho del Nord mentre le lezioni sono tenute in inglese.

La disparità di reddito è piuttosto alta: si possono trovare case formate da una sola stanza costruite con mattoni e un tetto di lamiera accanto a ville basate su due piani, con un garage occupato da tre auto. Nonostante l’apartheid sia stato abolito da 26 anni ormai, la “rainbow nation” ha ancora molto da lavorare dal punto di vista di inclusione sociale.

So che con la mia presenza in questa zona rurale sto smentendo molti stereotipi, che al contrario nelle città sono meno radicati, ma in ogni caso è difficile che ci sia un inquadramento sociale completamente omologato. Per le persone di colore, è sorprendente che una ragazza come me viva con le loro usanze e abitudini perché, a causa della loro storia, pensano che io mi senta in qualche modo migliore di loro a causa del mio colore di pelle. Al contrario, loro hanno aggiunto ricchezza alla mia persona, soltanto accettandomi nella loro comunità. Il calore che ho ricevuto è stato sorprendente per me, perché in Italia tutte le attenzioni che ho ricevuto non sarebbero mai state ricambiate a causa del clima di chiusura mentale che si è ormai diffuso.

Sono grata alla mia famiglia ospitante, che ha aperto le porte della sua casa nonostante abbia difficoltà economiche, ma so anche che sto facendo molto per loro. Ho iniziato a raccontare del mio amato Paese, scorrendo le foto sul mio telefono: la mia casa, la mia famiglia, la mia scuola, I miei amici, lo sport e gli svaghi. Parlavo mentre le mie sorelle sognavano questa terra lontana e leggevo nei loro occhi: “quanto sei fortunata…”.

Ogni giorno ripeto a loro il valore dell’educazione, come i miei genitori mi hanno sempre insegnato. Ho preso i miei libri e ho letto le mie storie preferite ad alta voce per loro, come faceva la mia mamma quando ero piccola. Ho insistito che la mia sorellina imparasse a memoria le tabelline come mi ripeteva sempre il mio papà alle elementari e ho portato la più grande in libreria. La loro nonna Grace dice che sono diventata la loro madre. So che ho aperto una fetta di mondo alle mie ragazze ma sto semplicemente mettendo in pratica il motto sudafricano: “sharing is caring”.

La mia esperienza non è per niente facile. Oltre alle condizioni in cui vivo, ho un’enorme responsabilità nei confronti delle persone con cui condivido tutto e anche nei confronti della comunità dove sono inserita. Posso affermare di amare il Sud Africa e tutti i suoi cittadini. Sono grata all’associazione AFS Intercultura per avermi permesso di crescere così tanto in un Paese come questo e sono certa che ho centrato uno degli obiettivi di questa avventura, cioè capire cos’è il razzismo.

Ho sperimentato la scomodità di sentirsi l’unica con la pelle diversa dalle altre persone in una stanza. Sto provando il diverso, quello strano e non uguale, che differisce solo per determinate abitudini o comportamenti caratteristici della propria fetta di mondo. Tuttavia, le disuguaglianze si annullano nel momento in cui si condividono le stesse cose e queste non si vedono come sbagliate ma piuttosto come non uguali alle proprie.

Ho capito che non sono l’unica a crescere durante questo periodo: questa esperienza non è soltanto un miglioramento personale a senso unico, ma l’ospitalità apre una porta importante per capire le diverse culture di tutti gli abitanti di questo magnifico mondo.

Malgrado la mancanza dei comfort che possono sembrare necessari per la vita, la ricchezza che queste persone mi stanno dando valore a tutti gli sforzi. Voglio riportare, tradotte, delle righe che mia sorella ha lasciato nel mio diario: “Margherita è entrata nella mia vita da quasi quattro mesi ma è come se fosse la mia gemella perduta e ora ci siamo finalmente ricongiunte. È come una sorella da un’altra mamma ed è diventata un’amica, un diario, un esempio di vita e una madre per me. Vorrei averla sempre con me in questo viaggio chiamato vita”.

Grace, Kedibone e Neo sono la mia seconda famiglia, ma se vedessi una nostra foto non lo diresti mai. Se ci vedessi assieme, ne sareste più che certi.

Margherita

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