La straordinaria normalità delle piccole cose
Benedetta
Da Civitavecchia nel Regno Unito per tre mesi
Mi guardo alle spalle e vedo questi ultimi tre mesi scorrermi davanti agli occhi come il rullino di un film, i giorni che si sono susseguiti ed accavallati gli uni agli altri.
Tutte le mattine a camminare sotto la pioggia od il cielo grigio di Southport per andare a scuola, i “lunch breaks”, le lezioni e i weekend per esplorare un paese che mi era sconosciuto. Ogni momento prezioso che ha costruito una quotidianità a chilometri di distanza da casa e che ha reso il programma trimestrale l’esperienza più importante della mia vita. Ho fatto in tempo ad innamorarmi di Liverpool e conoscere la musica dei Beatles, a girare i mercatini di Natale di Manchester, fare il pieno del “british humor” con tutte le commedie che ho visto insieme al mio padre ospitante, seduta sul divano vicino ai cani addormentati, assaggiare mille “pies”, il “traditional afternoon tea”, la “full English breakfast”, scoprire nei miei compagni di scuola inglesi degli amici preziosi.
Non dimenticherò mai la sera in cui, dopo aver giocato a biliardo, io e i miei amici inglesi siamo corsi sotto la pioggia battente per rifugiarci a casa di una di loro. Ci vedo ancora, seduti sui divanetti o sul tappeto in circolo a ridere come degli stupidi e a chiacchierare del più e del meno con delle tazze di tè in mano.
È stato allora, guardando i loro volti rischiarati dal fuoco del camino, che mi sono resa conto di quanto gli fossi grata per avermi rivelato l’anima accogliente e gentile del popolo inglese, di quanto fossi felice di essere lì quella sera, con i capelli bagnati, e sentirmi una di loro.Non si è trattato solamente di migliorare il mio inglese, ma di scoprire risorse che mai avrei creduto di possedere e che forse sarebbero rimaste nascoste a me stessa per molto tempo ancora, perché mai avrei avuto il coraggio di infrangere certe barriere di insicurezza che da tempo ostacolavano il mio cammino. Vivere un’esperienza all'estero con Intercultura significa scoprire una nuova realtà e aprire gli occhi su qualcosa di diverso da quello che abbiamo sempre conosciuto, di nuovo e straordinario, su un altro modo di studiare, vivere, insegnare; significa anche ritrovarsi da soli con se stessi a diciassette anni e scoprirsi pian piano molto più forti e diversi da quello che ci credevamo, scoprirci tutto quello di cui abbiamo bisogno per stare bene.
Significa imparare ad apprezzare le piccole cose, essere contenti quando la tua mamma ospitante ti ha lasciato un “apple pie” per colazione, quando fuori c’è il sole e non piove, quando ti rendi conto che capisci quasi tutto quello che dice la giornalista della bbc in televisione.
Buttatevi, saltate, partite.
Tutte le mattine a camminare sotto la pioggia od il cielo grigio di Southport per andare a scuola, i “lunch breaks”, le lezioni e i weekend per esplorare un paese che mi era sconosciuto. Ogni momento prezioso che ha costruito una quotidianità a chilometri di distanza da casa e che ha reso il programma trimestrale l’esperienza più importante della mia vita. Ho fatto in tempo ad innamorarmi di Liverpool e conoscere la musica dei Beatles, a girare i mercatini di Natale di Manchester, fare il pieno del “british humor” con tutte le commedie che ho visto insieme al mio padre ospitante, seduta sul divano vicino ai cani addormentati, assaggiare mille “pies”, il “traditional afternoon tea”, la “full English breakfast”, scoprire nei miei compagni di scuola inglesi degli amici preziosi.
Non dimenticherò mai la sera in cui, dopo aver giocato a biliardo, io e i miei amici inglesi siamo corsi sotto la pioggia battente per rifugiarci a casa di una di loro. Ci vedo ancora, seduti sui divanetti o sul tappeto in circolo a ridere come degli stupidi e a chiacchierare del più e del meno con delle tazze di tè in mano.
È stato allora, guardando i loro volti rischiarati dal fuoco del camino, che mi sono resa conto di quanto gli fossi grata per avermi rivelato l’anima accogliente e gentile del popolo inglese, di quanto fossi felice di essere lì quella sera, con i capelli bagnati, e sentirmi una di loro.Non si è trattato solamente di migliorare il mio inglese, ma di scoprire risorse che mai avrei creduto di possedere e che forse sarebbero rimaste nascoste a me stessa per molto tempo ancora, perché mai avrei avuto il coraggio di infrangere certe barriere di insicurezza che da tempo ostacolavano il mio cammino. Vivere un’esperienza all'estero con Intercultura significa scoprire una nuova realtà e aprire gli occhi su qualcosa di diverso da quello che abbiamo sempre conosciuto, di nuovo e straordinario, su un altro modo di studiare, vivere, insegnare; significa anche ritrovarsi da soli con se stessi a diciassette anni e scoprirsi pian piano molto più forti e diversi da quello che ci credevamo, scoprirci tutto quello di cui abbiamo bisogno per stare bene.
Significa imparare ad apprezzare le piccole cose, essere contenti quando la tua mamma ospitante ti ha lasciato un “apple pie” per colazione, quando fuori c’è il sole e non piove, quando ti rendi conto che capisci quasi tutto quello che dice la giornalista della bbc in televisione.
Non c’è dubbio, partire è una scelta coraggiosa, che sia per poco o tanto tempo. Partire per me è stata la parte più difficile, ma ora sono infinitamente grata alla mia famiglia e alla volontaria del mio centro locale per avermi sostenuto, e a me stessa, per non aver permesso alla mia insicurezza di portarmi via un’esperienza che si è rivelata, in una quotidianità fatta di nulla di apparentemente eccezionale, incredibile e meravigliosa.
Buttatevi, saltate, partite.
Benedetta
Da Civitavecchia nel Regno Unito per tre mesi