Sfidando un nuovo spazio: la mia esperienza scolastica all’estero.
Marianna
da Sarno in Lettonia per un anno
Provare a vivere in un Paese straniero nasconde mille sorprese. Il segreto, anche se impossibile, sarebbe non avere aspettative.
Lo scorrere dolce di un ruscello che incontra un precipizio diventando cascata e si ritrova tutt’un tratto a cadere vertiginosamente senza sapere dove trovarsi, per poi riprendere il suo corso verso il mare. Si può così riassumere l’inizio di quest’esperienza che catapulta in una vita del tutto nuova, ma che non impiegherà tanto a riprendere la routine quotidiana. Che siano tre, sei mesi o un anno, un programma di interscambio culturale è un vero e proprio viaggio all’interno di se stessi, alla scoperta di un mondo nuovo, difficilmente visibile ad occhi aperti e talvolta anche muto, ma non per questo meno affascinante. Cambiare totalmente, ma temporaneamente, il proprio spazio è di certo una sfida insolita, in salita e le cui difficoltà non possono essere ben spiegate: ognuno di noi è diverso e per questo ha reazioni differenti. Non si è mai troppo pronti per partire e mai lo si è per andare via.
Nel mio caso, ho trascorso dieci mesi in Lettonia. Ho provato i brividi dei -30° a gennaio e della neve il 9 maggio, delle passeggiate infinite nei boschi… E poi i laghi, i viaggi in autobus, gli amici, una nuova famiglia, la scuola, le feste. Persone nuove, belle, interessanti, alcune destinate a rimanere e a diventare indispensabili, altre ad andare via. Visi, storie nuove da ascoltare e da raccontare.
L’adrenalina ha avuto su di me un grandissimo effetto all’inizio, gasandomi e facendomi godere la mia esperienza nel migliore dei modi, andando poi pian piano a scemare e dissolversi, ma non ha per questo reso i primi mesi più facili degli ultimi, permettendomi tuttavia di calarmi al meglio in questa nuova vita. Lo spazio in cui probabilmente mi sono maggiormente sentita a mio agio - non dall’inizio naturalmente - , è stato la scuola. I primi giorni mi sembrava di essere una nuova attrazione: tutti mi osservavano, alcuni scrutandomi e seguendomi con lo sguardo curioso e stupito fino ad ogni boccone che mangiavo a mensa; altri accennavano addirittura un saluto, sempre rimanendo nella riservatezza che contraddistingue i lettoni, timidi e non troppo socievoli. Ero la nuova arrivata, un po’ più scura e bassa di loro, con il sorriso perennemente stampato in viso: da qui la spiegazione di tanta attenzione? Non del tutto: forse l’effetto novità non mi ha mai lasciata completamente.
Riguardo al piano didattico, invece, i primi giorni la mia testa non faceva altro che annuire a quello che i compagni di classe traducevano in inglese; e, così come gli alunni, anche i professori mi osservavano come la nuova arrivata, facendomi domande e chiedendomi di quel caldo paese bagnato dal Mediterraneo e di come fosse la vita quaggiù. La parte davvero difficile credo sia giunta verso dicembre, quando gli insegnanti, vedendo che io capivo e non male il lettone, hanno incominciato a considerarmi non più come l’italiana, ma come il numero due dell’ elenco di classe, assegnandomi compiti e test di verifica molto simili a quelli dei miei amici. Lì la scuola è stato il luogo dove ho conosciuto i miei amici più cari e ho trovato un posto in cui vivere, non solo studiare. L’ organizzazione delle gite, delle feste e le sfide tra classi, le chiacchierate in corridoio tra una lezione e un’ altra hanno consolidato dei bellissimi rapporti e lasciato forti memorie, diventando così una delle parti più importanti del mio anno all’ estero.
La scuola come si è forse ben potuto capire, funziona diversamente: le lezioni sono di quaranta minuti e dopo ogni singola unità oraria c’è un break di dieci; iniziano alle 8 del mattino e finiscono a seconda della classe che si frequenta, nel mio caso alle 15.30 circa. In un certo senso agli studenti è data più libertà, si può entrare dopo e uscire prima indipendentemente; viene però tutto annotato sul registro elettronico che i genitori sono tenuti a controllare quotidianamente.
Da parte mia, ho cercato di impegnarmi al massimo. Ho dovuto imparare in fretta la lingua per far parlare quel mondo, ho cercato di ricavare il meglio da tutto e da tutti: da uno sforzo in più a scuola fino alla classe che si congratula per un voto, dal ritenermi pronta a tutto al capire di dovermi invece fermare in certi momenti. Si viene sottovalutati e sopravvalutati allo stesso momento, e la maturità in questo caso sta nell’avere una giusta misura e il giusto mezzo.
Inoltre, ho capito che il Paese non è il vero punto cardine dell’esperienza, ma siamo noi. Credo si possa immaginare il tutto come una sorta di umanesimo della nostra persona: diventiamo il centro del nostro mondo, ma certamente non in modo egoistico.
Ancora oggi alla domanda: “Perche la Lettonia?’’ non saprei rispondere. Quest’esperienza ha significato per me molto, a livello scolastico, emotivo e umano. È stata una specie di scuola senza un insegnante fisso, dove mi sono, ogni giorno, ritrovata di fronte a possibilità concesse o negate. Ho stretto un rapporto che mai avrei pensato di avere con mia madre “ospitante”, un punto di rifermento fisso in ogni momento, ed ho sicuramente rafforzato quello con mia madre naturale, ma devo ringraziare entrambe per questa grandissima possibilità che mi hanno concesso.
Inoltre, ho capito che il Paese non è il vero punto cardine dell’esperienza, ma siamo noi. Credo si possa immaginare il tutto come una sorta di umanesimo della nostra persona: diventiamo il centro del nostro mondo, ma certamente non in modo egoistico.
Ancora oggi alla domanda: “Perche la Lettonia?’’ non saprei rispondere. Quest’esperienza ha significato per me molto, a livello scolastico, emotivo e umano. È stata una specie di scuola senza un insegnante fisso, dove mi sono, ogni giorno, ritrovata di fronte a possibilità concesse o negate. Ho stretto un rapporto che mai avrei pensato di avere con mia madre “ospitante”, un punto di rifermento fisso in ogni momento, ed ho sicuramente rafforzato quello con mia madre naturale, ma devo ringraziare entrambe per questa grandissima possibilità che mi hanno concesso.
La mia scelta è stata molte volte criticata, un po’ per i pregiudizi che giornalmente affrontiamo, un po’ perché stare lontana da casa così a lungo e in un paese così diverso, anche se geograficamente vicino, non sarebbe stato di certo facile. Inoltre, il bello è stato venire a contatto quotidianamente anche con gli altri studenti di Intercultura provenienti da tutta Italia e da tutto il mondo, venire a conoscere tante realtà parallele e ammirare la diversità dell’uguale.
Intercultura è tante cose, ma se dovessi riassumerla con una parola direi forse izaicinājums, sfida, challenge: è una parte costituente della mia persona, senza la quale non sarei quella che sono. Costruisce e abbatte, monta e smonta, fortifica e indebolisce, cambia. Nessuno può dire, dopo, di saper osservare la propria vita con gli stessi occhi con i quali si è partiti. Risulta forse banale dirlo, ma si osservano la bellezza e i difetti che prima non si riuscivano a captare. Si parte con una valigia da eterno sognatore e si torna con un miscuglio di certezze e consapevolezze, di insicurezze e di punti di riferimento, con il cuore e la mente aperti a tutto.
Le realtà che ci circondano non sono mai abbastanza, e rimettersi in gioco è il modo più bello per capirle e comprenderle a fondo.
Marianna
da Sarno in Lettonia per un anno