"Mutig": un passo coraggioso

Chiara

Da Varese in Austria per un anno

Seduta sul letto non riusciva a dormire. La testa, appoggiata alle ginocchia raccolte al petto, sembrava infinitamente pesante. La luna brillava solitaria nel cielo scuro fuori dalla finestra aperta, illuminava le valige pronte, o quasi, ai piedi del letto. Faceva caldo e lei aveva paura di addormentarsi.

Tentava di scacciare quegli scuri cirri che bassi e minacciosi volavano nella sua stanca testa. Così cominciò a ripercorrere la lista delle ultime cose da raccattare: le ciabatte, gli ultimi vestiti che Barbara aveva insistito per lavare, il pigiama, le scarpe da ginnastica, la borsetta dei trucchi, la spazzola. Il deodorante era quasi finito e lo spazzolino non le serviva più; stava per tornare a casa.
Tentava di fermare il tempo, o almeno scongiurava che si potesse dilatare, che i dieci mesi non fossero già finiti

Assolutamente da non scordare era la bandiera austriaca con le firme e le dediche. Poi c’era l’album di foto che le avevano regalato la sera prima. Lo prese in mano. Due grosse lacrime caddero sulla copertina. Si asciugò le guance. Aprì ed iniziò a sfogliare l’album quasi senza accorgersene. Nel buio sfiorava le foto, non aveva bisogno di vederle per ricordarne il momento, inciso nella sua memoria. La malinconia le strappò un'altra lacrima che non riuscì a ricacciare indietro e cadde sulla carta, l’inchiostro si sbavò.

Aveva paura e non voleva addormentarsi. Tentava di fermare il tempo, o almeno scongiurava che si potesse dilatare, che i dieci mesi non fossero già finiti, che il giorno dopo non l’aspettasse un treno da Graz a Milano. Ripensò all’inizio quando ancora non sapeva cosa fosse la paura, quando ancora era ingenua e sognava un’avventura ancora tutta da scrivere.

E come quando si finisce un bel libro ed increduli che le pagine, al principio interminabili, ora si fossero esaurite, risfogliava quella storia che in dieci mesi aveva vissuto.
Giungere in un nuovo mondo, ed improvvisamente ritrovarsi bambini

Era arrivata una sera d’inizio di settembre alla stazione principale di Graz dove, con il cuore in gola, si sporse dal finestrino per vedere quella che sarebbe stata la sua famiglia per quei dieci mesi, nel bene e nel male. Una valigia di venti chili tirata a fatica giù dalle ripide scale del treno e la corsa ad abbracciare il nuovo fratellino paffutello, e quella sorridente signora che sarebbe stata madre ed amica per una vita. Ma lei ancora non se lo poteva immaginare.

Prima di partire, le avevano detto “Questo non è un anno della tua vita, bensì una vita in un anno”, e lei non l’aveva mai capito. Eppure ora, tra le lacrime, non avrebbe trovato una frase che meglio riassumesse quella pazza esperienza che in un battito di ciglia era finita.

Giungere in un nuovo mondo, ed improvvisamente ritrovarsi bambini, costretti ad imparare una nuova lingua, traballando sulle orme delle tradizioni di una cultura ancora straniera. Imparare a conoscere e a farsi conoscere da zero, tentando di evitare pregiudizi e luoghi comuni. Svegliarsi la mattina spaesata ed accorgersi, dopo qualche secondo, di non essere più in Italia. Adattarsi alle nuove abitudini e consuetudini di una famiglia che era tale, anche prima del suo arrivo.

Crescere piano piano, come il bambù. Di colpo riconoscere le strade del paese. Non dover stare perennemente sveglia in pullman per paura di mancare la fermata nel buio della campagna, ma anche nel dormiveglia riconoscere le curve dolci che corrono sulle colline stiriane e che la portano a casa. Parlare e capire il tedesco senza più tante difficoltà e dilettarsi tentando di interloquire in dialetto, che non era più un mistero.
Imparare a conoscere e a farsi conoscere da zero

Ed i ricordi si accumularono densi come nuvole piene di pioggia sul suo cuore. Le mancò l’aria nella piccola stanza, così uscì sul balcone. Un venticello leggero accarezzava le folte chiome degli alberi che si sporgevano verso la chiara acqua del ruscello che sotto casa gorgogliava fresco nella silenziosa notte. Dai filari dei meleti giungeva un profumo di terra bagnata. Fece un respiro profondo e tentò di scacciare quel peso dal cuore, ma l’angoscia si fece più forte. Si aggrappò sulla ringhiera.

Di cosa doveva aver paura? Non stava forse per tornare a casa? Se solo fosse stato così semplice, dire che quei dieci mesi erano stati niente più di una lunga vacanza. Ma quello che aveva vissuto era molto di più di una semplice avventura, era stata una vita. Era tutto diverso ora da quel pomeriggio caldo dove all’ombra di un giardino aveva salutato i suoi genitori ed ignara era partita. Era partita diciassettenne e sarebbe tornata donna, cresciuta, cambiata e non solo per la data scritta sulla carta d’identità. Non sapeva se i suoi amici, la sua famiglia, il mondo che aveva lasciato avrebbe avuto la pazienza di riscoprirla, di accettarla per quello che era e non pretendere che fosse come era stata prima di partire. Il terrore di sentirsi soffocare nella piccola cittadina del nord Italia, il cui orizzonte che tanto amava, il suo Monte Rosa, non era stato dimenticato, bensì allargato. Ora il suo cuore era diviso in due parti, una che guardava al bel paese e la seconda legata alle morbide e verdi colline della sua selvaggia Stiria, terra di leggende, tradizioni, notti buie, giornate nebbiose e tramonti infuocati. Due mondi le invadevano cuore e mente e nessuna logica le avrebbe permesso di viverli entrambi contemporaneamente. Quando aveva comprato quel biglietto ferroviario non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato la causa della lacerazione del suo essere, dei suoi sogni, dei suoi ricordi, dei suoi orizzonti. L’aria le mancava: “E se non capissero?”, si continuava a chiedere tremante.
Due mondi le invadevano cuore e mente e nessuna logica le avrebbe permesso di viverli entrambi contemporaneamente

Le tornò alla mente quel pomeriggio passato tra i vigneti del sud della Stiria a rotolarsi giù dalla collina con il fratellino e a rubare l’uva. Le sere, o meglio le notti a ballare con i suoi amici come se l’alba non dovesse più sorgere. I viaggi da sola sui treni attraverso l’Austria, e quelli con gli amici che arrivano da ogni parte del mondo. I giri solitari per Graz e le serate in compagnia, quelle al buio sulle pendici dello “Schlossberg” che domina la città illuminata a chiacchierare in una lingua che non era stata la sua, che prima le pareva così ostica, eppure ora aveva un suono famigliare e dolce.

Nulla avrebbe impedito che anche quella notte, passata sul terrazzo di casa sua a Pischelsdorf, in Stiria, Austria, sarebbe terminata.

Tutto ciò che aveva vissuto, le difficoltà e le paure che aveva superato, l’avevano cambiata, appunto perché non si era ancorata ai dubbi, come avrebbe fatto tempo addietro, ma li aveva affrontati. Quei ricordi erano legati ai timori sconfitti, alle sue vittorie.
Il coraggio di andare avanti ed affrontare l’ignoto era ormai saldo nel suo forte cuore

Arresa davanti all’evidenza del tempo che, implacabile, scorre come il vento tra i meli che corrono a perdita di vista sulle belle colline stiriane, si sedette per terra ed appoggiò la testa al muro. Ormai rassegnata ad accettare il futuro, conscia che nulla avrebbe potuto toglierle quello che aveva vissuto, quello che era diventata, e che in ogni caso quell’anno sarebbe stato unico ed irripetibile come la luce tra le vigne, come il profumo dei fiori di melo. E così con le stesse paure, timori ed angosce si addormentò. Il coraggio di andare avanti ed affrontare l’ignoto era ormai saldo nel suo forte cuore.

La folla nell’atrio della stazione Centrale si diradò. La valigia cadde per terra. Lei corse verso quelle braccia aperte che l’attendevano. Il primo passo era stato fatto…

Chiara

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