A Bogotá con il Programma Alimentare Mondiale

Intervista a Diana Pezzella

ex partecipante, lavora a Bogotà con il Programma Alimentare Mondiale

Questa è una delle 17 interviste a ex partecipanti ai programmi di Intercultura che attualmente si occupano di progetti "sostenibili" che rispondono agli obiettivi proposti dalle Nazioni Unite con l'Agenda 2030. Intercultura ha aderito all'Alleanza Italiano per lo sviluppo Sostenibile (ASVIS), l'iniziativa nata per far crescere nella società italiana la consapevolezza dell'importanza dell'Agenda globale per lo sviluppo sostenibile.


Obiettivo 2 - Sconfiggere la fame. Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile.


Intervista a Diana Pezzella, 30 anni. Nel 2006 vinse una borsa di studio con Intercultura ed è partita dal Centro locale di Roma Sud per 3 mesi in Irlanda. Irrequieta, sognatrice, testarda, continuamente alla ricerca di nuovi progetti e con la speranza di poter contribuire a rendere il mondo anche solo un pochino più equo. Pittrice e musicista in segreto, ama i concerti rock, ballare salsa, il suo cane Pino, passeggiare nella natura, andare in moto, la buona cucina e il buon vino. Sogna un giorno di essere capitana di un veliero e solcare i sette mari. Nel frattempo ha studiato per poter lavorare in ambito della cooperazione internazionale con una Laurea in Scienze Politiche conseguita presso la LUISS e un MsC in Development Studies ottenuto alla London School of Economics. Da quando ha iniziato a viaggiare non si è più fermata e da un paio d’anni lavora a Bogotà con il Programma Alimentare Mondiale (WFP), premio Nobel per la pace nel 2020.





Abbiamo pensato a te come testimonial per l’obiettivo 2 dell’Agenda 2030: di cosa ti occupi nello specifico?

In questo momento sono coordinatrice della risposta umanitaria all’emergenza migratoria in Colombia. I nostri programmi sono incentrati a fornire assistenza alimentare ai migranti venezuelani che arrivano in Colombia in condizione di altissima vulnerabilità, fuggendo da una crisi economica e sociale senza precedenti che ha lasciato più del 30% della popolazione in condizione di insicurezza alimentare. La maggior parte dei migranti lascia il Venezuela spesso pur possedendo una casa e in alcuni casi un lavoro, perché non riescono più a procurarsi cibo, un paradosso dell’economia che ha spinto più di 5 milioni di persone ad abbandonare il loro Paese in cerca di un futuro migliore. Con il COVID la situazione si è complicata parecchio e la crisi peggiora di giorno in giorno. Il governo colombiano invece si è dimostrato molto generoso nella gestione di questa crisi, attualmente ci sono quasi 1.7m di venezuelani in Colombia e da poco il governo ha annunciato che fornirà uno statuto di protezione speciale a questi migranti garantendo loro accesso ai servizi pubblici incluso sanità e educazione. Con il WFP complementiamo la risposta del governo fornendo assistenza immediata ai migranti in condizione di maggiore vulnerabilità attraverso pasti caldi, pacchetti alimentari, buoni spendibili in alimenti o aiuti in denaro. A volte il lavoro può essere difficile e soprattutto durante la pandemia ci sono stati dei momenti di altissima pressione, ma mi motiva sempre vedere l’impatto di questa assistenza nelle persone che la ricevono, dove l’accesso all’alimentazione fa una grande differenza.


Cosa significa per il WFP il premio Nobel?
Il riconoscimento del Nobel per la pace è arrivato come una grande sorpresa per molti di noi: ricordo che quando pubblicarono la notizia io e i miei colleghi eravamo veramente increduli, ma certamente onorati. È una grande soddisfazione per tutte le persone che prestano servizio nell’organizzazione (siamo quasi 20,000!), spesso lavorando in contesti difficilissimi, ma soprattutto è un riconoscimento esplicito al fatto che pace e sicurezza alimentare sono strettamente correlati, finché ci saranno guerre non si potrà porre fine alla fame nel mondo, e finché ci sarà fame non si potrà mai avere un mondo pacifico. Nel WFP abbiamo chiara questa correlazione e crediamo che la sicurezza alimentare sia un pilastro portante della stabilità di qualsiasi paese, chiave per lo sviluppo economico e sociale.

La pandemia ha fortemente influenzato l'approvvigionamento del cibo, specie in alcune aree del mondo. Quali sono i principali ostacoli alla sicurezza alimentare?
Credo che la pandemia, come qualsiasi altra crisi, evidenzi che il problema alla radice è sempre l’accesso al cibo. Quando i prezzi degli alimenti aumentano (per varie ragioni, trasporto, scarsità, prezzi delle materie prime…), le persone con meno disponibilità economiche perdono la possibilità di acquistare cibo, iniziano a ridurre la varietà della loro dieta, fino a saltare interi pasti. Oltre alla povertà, un altro ostacolo è il cambiamento climatico che sta avendo un impatto importante sulla disponibilità delle risorse, riducendo la totalità delle aree coltivabili; è quindi importante riflettere sulla sostenibilità dei modelli agroalimentari, cercando di ridurre l’impatto medio ambientale a lungo termine.


Quali sono le azioni e attenzioni quotidiane che dobbiamo mettere in atto? Che differenze ci sono tra quelle che dobbiamo farci carico noi rispetto a quelle dei paesi economicamente meno sviluppati dove hai lavorato e vissuto, come Colombia e Nigeria?
Sicuramente il principale contributo che tutti noi possiamo dare è ridurre gli sprechi alimentari. Sembra banale ma è così! Nel mondo si produce abbastanza cibo per sfamare tutti, eppure una persona ogni nove nel mondo soffre la fame. Ogni anno un terzo del cibo prodotto per consumo umano viene letteralmente buttato nei rifiuti. Nei paesi sviluppati è importante ridurre gli sprechi alimentari per evitare non solo perdite economiche e sperpero di risorse, ma anche per ridurre l’inquinamento generato dalla produzione di cibo ed evitare la sovrapproduzione. Nei paesi meno sviluppati, invece, il focus è più nell’evitare perdite nel processo di produzione e distribuzione di cibo, investendo in sistemi e infrastrutture adeguate. Secondo il World Resource Institute, dimezzare il tasso di rifiuti alimentari e perdita di alimenti è una strategia fondamentale per raggiungere l’approvvigionamento sostenibile a livello mondiale.


Come le esperienze con Intercultura hanno influenzato il tuo percorso accademico e professionale?
In Irlanda fu la mia prima esperienza di vita fuori casa: un periodo veramente emozionante che mi ha fatto crescere molto e, soprattutto, capire che da quel momento in poi viaggio e scambio culturale sarebbero state una costante nella mia vita. Al mio rientro, con la mia famiglia abbiamo ospitato una ragazza dalla Malesia, esperienza che ci arricchito molto e ha creato un legame che dura tutt’oggi! Dopo Intercultura decisi di partecipare all’Erasmus Programme, di frequentare un master a Londra e di essere aperta a qualsiasi opportunità di viaggio...il resto già lo sapete!


Quale messaggio vuoi lasciare alle ragazze e ai ragazzi che hanno vinto un programma coni Intercultura?
Complimenti, godetevi ogni momento e non abbiate paura di abbandonare il porto sicuro! “Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. È il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile” (Ryszard Kapuscinski).

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