Intercultura ti cambia la vita?

Paola

mamma inviante di Andrea e ospitante di Yueda dalla Cina e Cata dal Cile

Tutto è iniziato qualche anno fa quando mio figlio Andrea, allora sedicenne, mi portò a casa un opuscolo di Intercultura che aveva preso a scuola e ci annunciò, con mia grande sorpresa, che sarebbe voluto andare un anno all’estero. Un anno all’estero? Sì, un lunghissimo anno lontano da me e dai suoi affetti. “Intercultura?”, mi chiesi, “ma cos’è?”. Non ne avevo mai sentito parlare. “Pensa alle cose serie piuttosto”, risposi. Niente da fare, nonostante io fossi fortemente contraria, Andrea, appoggiato dal padre, iniziò questa avventura e noi (io a malavoglia) con lui.
Poco dopo abbiamo conosciuto una volontaria di Viterbo, Giampaola, con la quale sono entrata subito in sintonia.

Una mattina ricevo una telefonata dove mi chiese se avevamo intenzione di ospitare per circa sei mesi un ragazzo cinese che doveva cambiare famiglia. “Veramente non saprei”, le ho risposto spiazzata, “dammi il tempo di informare il resto della truppa e poi ti faccio sapere”.
Che ve lo dico a fare, da lì a pochi giorni mi sono trovata a ospitare un cinese, tutt’altro che minuto e mingherlino come immaginavo. Mi ricordo che prima del suo arrivo per strada cercavo di individuare le persone che avessero una simile stazza per farmi un’idea di chi avrei avuto a casa mia.

Arrivò il giorno fatidico e tutti eccitati andammo ad accogliere il nostro ospite (all’epoca Yueda tale era considerato da me) alla stazione.
All’inizio non è stato facile, abbiamo trascorso mesi molto impegnativi: abbiamo vissuto da entrambe le parti lo scontro tra due culture molto diverse: alcuni modi di fare, che per noi sono sconvenienti, per loro rientravano nella normalità e ovviamente anche viceversa. Quando i professori di Yueda ci hanno riferito che lui in classe dormiva, siamo rimasti di sasso e lo abbiamo sgridato molto. All’epoca non sapevamo che questo in Cina può capitare visto che spesso passano 12 ore in aula. Un altro annedotto di misunderstandig c’è stato quando siamo stati alla cascata delle Marmore, in Umbria, un giorno caldo e afoso: noi gli dicevamo di togliersi la maglietta, ma poi abbiamo scoperto che non lo faceva perché non voleva abbronzarsi.

Nonostante tutte le vicissitudini, tra di noi si è creato un legame fortissimo.
Yueda è diventato parte integrante della famiglia e ricordo come fosse oggi l’emozione che ho provato la prima volta che mi ha chiamata mamma. Sono stati dei mesi bellissimi che porterò dentro di me sempre con immenso piacere.

Uno dei momenti più difficili è stato l’ultimo giorno. Come si fa a salutare un figlio? Le ultime parole che mi disse furono: “ciao mamma” e rimase in silenzio a guardarci mentre noi ci allontanavamo.

Dopo un paio di mesi circa anche mio figlio Andrea partì per gli Stati Uniti. Fu un anno non facile, la casa sembrava vuota, ma fortunatamente avevo con me Marta, la piccola di casa, che mi aiutò molto. Arrivò il Natale, il primo Natale senza Andrea, e devo dire anche senza Yueda, ma che a modo suo era presente: ci riempì di regali per dirci grazie, che si ricordava di noi e che ci voleva bene.
Nel frattempo sono entrata in contatto con la mamma statunitense di mio figlio che mi teneva aggiornata sulla situazione e, con l’avvicinarsi del rientro di Andrea in l’Italia, incominciò a inviarmi messaggi in cui mi diceva che stava piangendo perché di lì a poco non avrebbe più rivisto quello che per lei era diventato un altro figlio. Come la capivo!

Andrea non fece quasi in tempo a riappropriarsi della propria casa e dei propri affetti che arrivò in famiglia una ragazza cilena, Catalina. Ormai ci avevamo preso gusto.
L’esperienza con Cata (così la chiamavamo in famiglia) è stata molto diversa dalla prima, ma non per questo meno intensa. All’inizio le difficoltà furono molte perché aveva molta nostalgia di sua mamma e, abituata alla città, il paesino le stava un po’ stretto. Fortunatamente pian piano la situazione cambiò, devo dire soprattutto grazie a Marta che riuscì per prima a entrare in sintonia con lei. Cata cominciò a comportarsi come una vera figlia adolescente: pur chiamandomi sempre per nome, abbiamo cucinato insieme, siamo andate a fare shopping e abbiamo condiviso quello che normalmente fanno una mamma e una figlia che sta crescendo.
Con il trascorrere dei mesi Cata è riuscita a crearsi un giro di amicizie e sembrava avesse sempre vissuto tra noi. Ma anche qui il tempo passò e ci trovammo di nuovo a dover salutare qualcuno che era diventato parte della famiglia. Quest’altra esperienza di ospitalità mi aveva ulteriormente cambiato e permesso di allargare i miei orizzonti. Ero ormai una persona molto diversa da quella di appena pochi anni prima.

Cata non fece quasi in tempo a salutarci che Yueda tornò a farci visita e rimase con noi un breve periodo durante il quale espresse il desiderio di studiare in Italia. Così iniziò il via vai tra casa nostra e la Cina, ma non solo per lui! Infatti, siamo stati invitati e poi accolti dai genitori di Yueda in Cina e poi loro sono venuti da noi: per la prima volta mi sono sentita parte di una grande famiglia, una famiglia senza confini!

Cata invece è tornata a trovarci insieme a sua sorella, si è nuovamente appropriata di quella che era stata la sua cameretta e si è subito messa in contatto con i vecchi amici italiani. Dopo qualche giorno abbiamo avuto anche la possibilità di incontrare i suoi genitori che erano venuti in Italia per una vacanza e con l’occasione di riunirsi con le figlie, sono venuti a conoscerci.

In conclusione: Intercultura ti cambia la vita? Sì, a me l’ha cambiata. Molto e in positivo! Anche “semplicemente” rimanendo a casa mia.
Un grazie particolare a mio figlio Andrea che con la sua determinazione mi ha permesso di conoscere più da vicino questa Associazione e un grazie immenso anche alle volontarie e volontari di Viterbo che in questa avventura mi sono stati sempre vicino.

Paola

mamma inviante di Andrea e ospitante di Yueda dalla Cina e Cata dal Cile

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